mercoledì 2 dicembre 2015

Händel e Lucifero

Il problema della Resurrezione: Oratorio o Cantata sacra?


Forse vi sembrerà stano che Anonima Strega posti un articolo sulla Resurrezione di Cristo, ma nella storia gli dèi assumono tanti nomi, e a me piace risolvere enigmi riguardanti le mie passioni, fra le quali ci sono le strutture narrative, la storia e la musica, dalla cosiddetta ‘colta’ all’heavy metal.
Composta nel marzo del 1708, quando Händel era impiegato a Roma presso il marchese Ruspoli, su libretto di Carlo Sigismondo Capece, La Resurrezione fu eseguita a Roma sotto la direzione di Corelli l’8 aprile dello stesso anno.
In molti affermano che si tratta di un Oratorio, altri di una Cantata sacra. Vediamo un po’ in cosa consiste questo problema luciferino…

“Lucifero torna trionfante all’Inferno perché Cristo è morto, ma uno stuolo di angeli si presenta alle porte del suo regno. Uno di questi gli annuncia che gli abitanti dell’Abisso stanno esultando invano: Cristo, benché morto sulla terra, è risorto nei cieli. Nel frattempo, la Maddalena supplica il sonno di non prenderla, così potrà esaurire tutte le lacrime. Cleofe le consiglia di riposarsi, ma poi si unisce al suo dolore. A consolarle giunge San Giovanni, che le fa sperare nella resurrezione di Cristo, nel terzo giorno dopo la morte. Le due donne, rincuorate, decidono di recarsi al sepolcro, e l’angelo esorta tutti, anche i caduti, a gioire per questo giorno. All’alba, Giovanni, avvicinandosi alla casa di Maria, si augura che la speranza abbia lasciato il posto alla fede, mentre prosegue il dialogo tra l’angelo e Lucifero, che si sente oltraggiato, e ha intenzione di confondere le idee degli uomini. Maddalena e Cleofe stanno per raggiungere la tomba, e Lucifero si dispera, perché qui, le donne troveranno l’angelo, che annuncerà loro la resurrezione di Cristo. Cleofe riferisce le sue parole a Giovanni, che a sua volta parla della visita fatta da Gesù a Maria. Il dialogo è interrotto dall’arrivo di Maddalena che descrive l’incontro avvenuto con Gesù, riconosciuto nel guardiano dell’orto. Giovanni incoraggia a lasciare perdere ogni dubbio e tutti esultano.”

Nell’autunno del 1706, Händel giunse in Italia, dove divenne famoso, soprattutto nel primo anno di permanenza, per la composizione di Cantate da chiesa e non. Il genere da attribuire a quello che per alcuni è il suo primo Oratorio (Il Trionfo del Tempo e del Disinganno) è ancora in discussione, anche se, l’assenza di personaggi appartenenti alla storia sacra e di una vera e propria azione scenica, dovrebbe sciogliere ogni dubbio in merito al fatto che si tratti di una Cantata morale.
Diverso è il problema per quanto riguarda quello che, da varie fonti, è considerato il suo primo, vero e proprio Oratorio: La Resurrezione (1708). Qui ci troviamo di fronte a due parti distinte l’una dall’altra, divise a loro volta in scene.
La prima scena della prima parte si svolge nell’Abisso e ha come dialoganti un angelo e Lucifero; la seconda porta in primo piano Cleofe e Maddalena; nella terza compare San Gioavnni e nell’ultima l’esortazione dell’angelo, che si chiude con un coro.
Nella prima scena della seconda parte abbiamo il monologo di Giovanni che si avvicina alla casa di Maria; nella seconda ancora un dialogo tra l’angelo e Lucifero; nella terza Maddalena e Cleofe si appressano al sepolcro; nella quarta il monologo di Lucifero perdente e, infine, la scena conclusiva che porta in primo piano, in maniera alternata, Cleofe, Maddalena, l’angelo, Lucifero e Giovanni, più il coro di esultanza per la resurrezione.
Fin qui non ci sarebbero problemi nell’attribuire il genere al lavoro di Händel, se non fosse che, persino il suo primo biografo, Mainwaring, parla della Resurrezione come di “una specie di” Oratorio e, analizzandolo bene, si scopre che le azioni sono ben poche (per i ‘profani’: l’Oratorio dovrebbe avere una struttura narrativo-drammatica, a differenza della Cantata, che si articola in una successione di brani). Tutto ciò che di movimentato c’è nella storia, infatti, è raccontato dai personaggi in un secondo momento, dalla visita di Giovanni a Maria (e quella stessa di Gesù alla madre), alla resurrezione.
Si tratta quindi di una Cantata sacra?
Io propenderei per il no. Se si pensa che l’Oratorio fu ideato anche come alternativa agli spettacoli operistici nel periodo quaresimale, l’argomento di questo lavoro potrebbe addirittura portare a ipotizzare una presunta idea di Händel di ricavarne una vera e propria Opera (la sua prima Opera italiana, Il Rodrigo, risale all’ottobre/novembre dell’anno prima); notare che La Resurrezione è stata composta proprio nel suddetto periodo (e non solo rappresentata) aggiunge peso all’ipotesi di vederla come un dramma.
Nel corso del XVIII sec. la forma dell’Oratorio si avvicinò allo stile sia della Cantata sia del Melodramma, e diventò quasi impossibile distinguere un Oratorio con azione scenica esigua da una Cantata sacra.
E, a questo punto, posso tornare al problema di partenza, e trovare, nell’incontro davanti al sepolcro, soprattutto negli attimi immediatamente precedenti, un punto di tensione non indifferente in cui il dramma (Cristo è risorto? Cristo risorgerà?) viene sciolto dal personaggio dell’angelo, il quale annuncia che Cristo è già risorto; ma la tensione ancora non scende, perché Maddalena e Cleofe vanno alla sua ricerca e, anche se il riconoscimento non avviene davanti agli occhi degli spettatori, le parole di Maddalena: “Cleofe, Giovanni, udite,/Udite la mia nuova alta ventura!/Ho veduto in quell’horto il mio Signore” suonano come una risoluzione finale.
E se la trascrizione del Prof. Gugler dice il vero (visto che esiste l’autografo di H.), l’iscrizione “Fine dell’Oratorio” alla conclusione della partitura e le stanghette orizzontali fra scena e scena del testo (come a sottolineare il passaggio dall’una all'altra) non sono indizi da poco.
A questo punto è facile immaginare il canto degli angeli provenire dalle finestre sopra l’altare dell’Oratorio...

Al di là del tema ostico o, per contro, il celebre Hallelujah dal Messiah, di Händel vi consiglio di ascoltare il Trionfo del Tempo e del Disinganno (di cui vedete in foto l’inizio della partitura), contenente la sua aria più famosa, “Lascia la spina”, poi diventata “Lascia ch’io pianga” nel Rinaldo.

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