venerdì 20 maggio 2016

Le mie donne #7: Lilly

"Un'anziana signora bipolare che sembra sapere molte cose, una villa isolata nel bosco, una profezia ermetica..." - dal blog "Sognando tra le righe"


Care consorelle e confratelli,
in un universo fatto di streghe, stregoni e demoni, sembra paradossale che il mio personaggio più inquietante possa essere un’anziana signora costretta su una sedia a rotelle. Niente potrebbe apparire più dolce e innocuo, in casi come questi, ma la strana donna che la protagonista, Selene, si ritrova ad assistere non è altri che l’ex concubina del Diavolo e uno dei suoi sei figli gemelli è destinato a concepire proprio con Selene il bambino che distruggerà il mondo (a meno che la nostra eroina non si riveli una figlia della Dea). Ma cos’ha di inquietante, di preciso? Intanto incontriamola per la prima volta, poi vi spiego meglio...

Una casa di bambola, rivelava una prima occhiata. Una bambola, che muoveva le ruote con i palmi avanti e indietro quasi fosse una bambina in procinto di scartare il nuovo giocattolo.
Un salone impreziosito da mobili rustici, solidi e austeri, ricoperti di manufatti all’uncinetto, trine e merletti, colori e profumi.
Una donna dai capelli grigi, polverosa di cipria, insanguinata di rossetto, ma ricoperta di giovanile pizzo come una porcellana gotica.
Selene sentì la porta richiudersi alle sue spalle e scorse con lo sguardo “il maggiordomo” mentre la superava. «Scherzavo, è il mio bambino.» Lilly. E l’altro che andava a raggiungere la madre, chiudendo i palmi sui manici.
«Buonasera, signora» azzardò imbarazzata, «ci siamo sentite oggi al telefono e...»
«Devi chiamarmi Lilly» cantilenò l’altra, facendo perno sulle ruote con mani rivestite da deliziosi guantini di pizzo nero, per sporgersi in avanti. Il taglio degli occhi era identico a quello del figlio, ma il colore sfumava dal nocciola all’oro. Dimostrava più di sessantasei anni. Forse a causa delle sofferenze subite. «Non è carino?»
Il figlio o il nome?
Il pensiero le causò suo malgrado uno sbuffo di sorriso e vide Lilly rilassarsi, nell’adagiarsi contro lo schienale.
«Sì, in effetti è un nome molto carino» ribatté.
«Ma io intendevo il mio bambino» la spiazzò. «Se non ti piace lui, non ti piacciono nemmeno gli altri.»
Il figlio le rivolse un’espressione e un gesto di scusa mista a rassegnazione, mentre Lilly scivolava sotto un arco in mattoni vivi.
«Se lei potesse...» Ma si rimangiò la richiesta di delucidazioni in merito al colloquio, per non risultare sgarbata nell’apparire di fretta. Che poi fretta non aveva. «Ha...» E non doveva darle del lei! «Hai una casa davvero bella, Lilly» si corresse, divagando. Avrebbe pensato Lilly stessa, a intavolare il discorso.
«Ma...» replicò la donna, dirigendosi in un’altra stanza, «poi devi pulirla tutta.» Detto fatto. «Andiamo! Te la faccio vedere.»
Selene la seguì, chiedendosi come mai desse per scontato che avrebbe scelto lei. «Avrei portato questo» disse, rovistando nella borsa alla ricerca del curriculum. «Credo che potrebbe servire.»
Lilly frenò nel corridoio e si voltò di tre quarti per osservare il documento che le stava porgendo. Poi fece schioccare la lingua sul palato, seriosa, il mento rialzato, e tornò con lo sguardo in avanti. «Non mi serve.»
Forse le rotelle con cui procedeva se le era tolte dalla testa.

Ecco, la simpatica signora, oltre a essere quanto sappiamo grazie ai paragrafi dal punto di vista del protagonista (punto di vista non conosciuto per il momento da Selene), è tutt’altro che un tipino facile, nonostante le sue condizioni: beve, fuma, bestemmia ed è di un’arroganza e di un egocentrismo spropositato. Ma... ma... e se questo derivasse da un mancato ascolto del Richiamo ricevuto a suo tempo, più che dalla situazione generale? Perché – forse – l’aspetto davvero inquietante della caratterizzazione è il convivere di due parti spezzate all’interno di un’unica personalità (tema che ritroviamo anche nella doppiezza della natura del figlio, per metà umana e per metà demoniaca). Solo che in Lilly la faccenda si fa più patologica che sovrannaturale...

Il sorriso divertito di Lilly risultava morboso e le fece affiorare il rossore alle guance; la inviperì quando la vide girare sulle ruote e darle le spalle per continuare a sghignazzare; poi, per l’imbarazzo e la rabbia, prese a raccogliere i medicinali prima di riprovare a sollevarla, esternando a voce alta: «Sei sbronza, hai sonno, ti muovi a stento da sola, domani non ricorderai nemmeno di avermi fatto questa domanda.»
Ma il silenzio di Lilly nei lunghi secondi impiegati nel cercare di selezionare pasticche e pomate, con mosse troppo nervose perché fossero pure rapide ed efficaci, la insospettì. Forse si era addormentata seduta, tutta storta.
Così si voltò e la vide gesticolare da sola, rivolta di lato, sempre di spalle. Muoveva le labbra, come se parlasse sotto voce con qualcuno seduto al suo fianco, ma non uscì niente dalla sua bocca, finché non si voltò dall’altro lato e mormorò: «Ha detto anche a te che non sa cos’è successo?» Tornò sull’altro lato e annuì. Di nuovo dall’altro: «Ma ti sta bene questa cosa?» Scosse il capo sull’altro lato.
Quell’immagine inquietò Selene, e il turbamento la spinse a volgersi al contingente. Si piegò su di lei per rigirarla, frenarla e stenderla sul letto. «Lo vedi che stai già dormendo? Andiamo!»
Era un peso morto, pareva tetraplegica invece che paraplegica, e fu difficile sollevarla e addirizzarla per bene senza che non s’inclinasse prima da un lato e poi dall’altro.
«Ma una visitina dalla psichiatra... mai?» Tanto l’indomani non se lo sarebbe ricordato e comunque lei aveva tutto il diritto di insinuare quanto stava insinuando.
«Mi hanno detto di andarci una volta ogni sei mesi per la pasticca per dormire» mugugnò fra uno sbadiglio e un altro.
«E basta?» Non andava bene. Per niente. Ma le tornavano a mente solo i soliti dottori che chiudevano gli occhi. In fondo, cosa si recuperava? Per cosa la si stressava? «Tanto dormi anche da sola.»
«Io non posso dirti nulla.» Lo sguardo si era spalancato. Improvvisamente sveglio. «Però devi stare attenta.»
Selene scosse il capo. «A cosa?»
«Dici che non ci credi, a queste cose, ma ci devi credere!» La testa si sollevò un istante dal guanciale, quasi a dare risalto all’affermazione; poi si voltò di lato: «Che dici? Devi star zitta!»
«Con chi chiacchieri?» tentò.
«Con la donnina del pensiero.» La risposta le risultò meno criptica di quanto poteva apparire. Altro che bipolare... nemmeno borderline. Quello era un principio di schizofrenia da manuale. «Mi è rimasto un pezzettino buono che ogni tanto si fa sentire.» Quella parte suonò più misteriosa, ma la spinse con un risolino a ripensare all’incontro sulle scale con Asmodeo, a quel qualcosa di piccolissimo nel profondo del cervello che le ripeteva che la faccenda non quadrava, nel resto della mente che le gridava che era tutto a posto.

E, considerata la razionalità di Selene, sarà difficile che queste ‘spie’ vengano ricomposte subito al puzzle di Nergal che noi meglio conosciamo... ma in ogni caso potrete leggere qui come andrà a finire.
Che la Dea vi benedica

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