giovedì 7 luglio 2016

Firenze nel Trecento

I presupposti storici per l'Alchimista Innominato.


(Stefano Ussi, La cacciata del Duca d’Atene 1860. Firenze, Palazzo Pitti)

Calandoci in Firenze nella prima metà del 1300, potremo scorgere che si sta lavorando al completamento dei grandi cantieri aperti per la Cattedrale (che tuttavia sarà consacrata solo nel ‘400), per Palazzo Vecchio e per le mura, e se ne stanno iniziando di nuovi come il Campanile di Giotto, Orsanmichele, la Loggia della Signoria e la Loggia del Bigallo. In questo contesto, le decisioni spettano al Gonfaloniere di giustizia, agli otto Priori delle Arti, al Consiglio dei Buonomini e a quello dei sedici gonfalonieri di Compagnia (quattro per ciascun quartiere, diviso a sua volta in quattro gonfaloni). L’economia è al momento trainata dalle imprese bancarie e dalle industrie manifatturiere, soprattutto laniere.
Fra l’alluvione del 1333 e il fallimento dei magnati banchieri della città (1342-1346: Bardi, Peruzzi, Acciaiuoli e Bonaccorsi), la situazione sociale è però in bilico e il governo viene affidato al neutrale (perché non appartenente a fazioni) Duca d’Atene che, cercando di svincolarsi dal sostegno della classe magnatizia, inizia a promuovere una politica favorevole ai ceti subalterni, per costituirsi una base di appoggio indipendente. Il popolo lo vede come un salvatore, ma i Priori e il Podestà non accettano di dargli la carica a vita. Sin dall’inizio, fa decapitare e impiccare diversi ricchi cittadini che vanno contro i suoi interessi; il Duca ignora la ricca classe mercantile che gli ha permesso di prendere il potere, trovando supporto nelle antiche famiglie provate dagli esili e dalle lotte di cinquant’anni prima. Impone misure drastiche per rimediare al debito pubblico, istituendo prestanze forzate che i ricchi devono corrispondere al governo a condizioni molto svantaggiose. Il Popolo Minuto, in particolare i lavoratori dell’Arte della Lana (artigiani e dipendenti), è al di fuori dell’organizzazione delle Arti e della vita politica, riceve bassi salari, ed è alla mercé degli imprenditori che non gli riconoscono il diritto di stabilire il prezzo della mano d’opera. Pagati giorno per giorno con salari da fame, in caso di controversie sono giudicati da un ufficiale che può sottoporli a tortura. Non godono dei diritti di cittadinanza, non partecipano alla vita politica ed è loro impedito di riunirsi in leghe. Il Duca d’Atene permette a lanaioli e tintori di associarsi in Arte, ma il Popolo Grasso (i ricchi mercanti) che gli aveva concesso di salire al potere, sfavorevole alle corporazioni fra un numero così grande di lavoratori, comincia a congiurare contro di lui, rovesciandolo e cacciandolo nel 1343. Il Popolo Minuto tenta quindi di ribellarsi, ma i tumulti vengono soffocati: nel 1345, il cardatore Ciuto Brandini incita i ciompi, i salariati della lana (“pettinatori e scardissieri”, tessitori e cardatori) a formare un’associazione per resistere alle angherie padronali con scioperi e proteste, ma viene ucciso. Il Popolo Grasso sfrutta a questo punto la situazione per accentrare il potere nelle proprie mani.
L’epidemia di peste del 1348 (con picco fra aprile e settembre) uccide però 4/5 degli abitanti e porta alla paralisi temporanea delle attività.

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