mercoledì 3 maggio 2017

I miei uomini #18: Tobei

"La condivisione, spesso muta, di sensazioni ora piacevoli ora  sgradevoli, genera guarigione e porta a scelte imprevedibili." - dal blog "Sognando tra le righe"


Care consorelle e confratelli,
Tobei è un personaggio assai misterioso di Pandemonium Road (leggi qui la trama). Ombroso, veste sempre di nero, con occhiali scuri... inizialmente è chiamato perlopiù "l'asiatico", o "quello delle ronde dell'ex centrale di polizia." Di lui sappiamo poco, anche perché non apre bocca quasi mai e, se siamo a conoscenza del fatto che è stato infettato e - guarito - è entrato a far parte da immune dell'organizzazione capitanata da Raoul, è solo grazie ai discorsi di qualcun altro. Non ha mai paragrafi dal suo punto di vista.
Questo. però, potrebbe dipendere anche dal fatto che lo stesso Tobei, il 'nuovo' Tobei, sa poco di se stesso e deve ancora riprendere del tutto in mano la sua vita. Difatti, nei suoi momenti tipici di silenzio, sapendo quanto sappiamo su di lui, è facile capire che nel suo cuore c'è più di quanto potremmo aspettarci...
Che la Dea vi benedica

«Ti preparo il caffè» disse, correndo in tuta e scalza dalla camera alla cucina. «Senza zucchero.»
«Grazie.»
E ora cosa gli chiedo? Da quale domanda parto?
«Ci sono novità?»
Non che sperasse in una risposta, ma almeno in un mugugno...
Così decise di parlare lei stessa del più e del meno, della vita di tutti i giorni, di Sam, in pratica chiacchierò da sola, o con il caffè che a poco a poco cominciava a gorgogliare nella moka.
Glielo servì come la volta precedente al tavolino del divano e si mise a scrutarlo in trepidazione mentre lui sorbiva la bevanda con estrema lentezza.
A un certo punto le parve che stesse per aprire bocca per dire qualcosa, ma poi lui scosse il capo e rimase zitto.
Aisha attese ancora, intanto che Tobei poggiava la tazzina sul tavolino e la schiena alla spalliera del divano. Non seppe quantificare con certezza i minuti di silenzio, ma era sicura che fossero stati molti, quando lui mosse di nuovo le labbra e spalancò i palmi come per iniziare un discorso.
Eppure, anche quella volta, non fiatò.
Aisha aspettò e aspettò, ma Tobei non proferì parola.
Le sembrò che fosse sul punto di parlare per un altro paio di volte, tuttavia lei non ebbe il coraggio di spezzare la tensione, speranzosa che l’altro partisse.
Nel momento in cui fu certa che fossero passati più minuti del solito dalla sua ultima falsa partenza, sbottò: «Io vorrei sapere...»
«E anch’io avrei bisogno di chiacchierare con qualcuno.»
«Ecco, e...» Ma non riuscì ad andare oltre, perché, ripensandoci, quella frase la stava spiazzando.
Lei era concentrata su se stessa e sulla sua situazione, tanto da dimenticare chi e cosa aveva davanti.
Pure lui aveva bisogno di parlare con qualcuno?
Certo, lui non aveva vissuto quello che stava vivendo lei, per il semplice fatto che lo aveva subìto in prima persona.
Quello non smorzava il lato egoistico di sapere quanto interessava a lei, ma guardò tutta la storia da un altro punto di vista e si vide davanti un Jacko diverso, muto e incomprensibile come Tobei, un qualcosa che non era più quanto lei aveva conosciuto.
Non riusciva ancora a comprendere gli accenni dell’asiatico al futuro, ma restò zitta anche lei, in attesa sul divano, mentre Tobei fece per parlare ancora una volta senza dire niente. Solo che, quell’ultima volta, il suo rimanere in silenzio le parve più scontato e meno incomprensibile, come se quei silenzi le stessero comunque raccontando una storia e tutto quanto di insopportabile, lacerante e indicibile c’era dietro.
«Mi spiace, ma non ci riesco» proruppe infine lui, alzandosi. Un mezzo inchino col capo, per poi dirigersi verso la porta.
E avrebbe voluto accompagnarlo, dirgli che, quando voleva, sapeva dove trovarli, ma rimase a osservare la sua tazzina ancora piena.
Muta.
Sul divano.

Immagine: Pixabay

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