martedì 2 maggio 2017

Le mie donne #13: Aisha

"Dichiarazioni di amicizia, affetto, amore: tutti questi elementi concorrono  a sospingere il lettore da un protagonista all'altro, da un'emozione struggente a una considerazione dissacrante..." - dal blog "Sognando tra le righe"


Care consorelle e confratelli,
se nei romance, di solito, la storia d'amore è incentrata su un'unica coppia, il caos della Pandemonium Road (leggi qui la trama del romanzo) creerà per forza di cose sviluppi secondari, e Aisha è fra i personaggi che partono con uno stato d'animo e delle convinzioni, per poi ritrovarsi alla fine in una condizione completamente diversa da quella che loro stessi si sarebbero aspettati.
A seguito della prima pandemia, è arrivata in Europa con uno dei vecchi transatlantici che recuperavano i sopravvissuti dagli altri continenti e qui si è costruita una nuova vita. L'arrivo del secondo contagio, però, la mette di fronte a una situazione tragica che sconvolgerà completamente la sua esistenza. Piccola, minuta, fragile, impaurita, convinta di sentirsi inferiore a tutto e a tutti, ma determinata a proteggere il suo bambino, troverà a poco a poco in sé una forza inaspettata, però in questa sede ovviamente non vi racconterò di più e ve la mostrerò nel momento in cui capisce che è appena successo qualcosa di spaventoso all'uomo che ama...
Che la Dea vi benedica

Non appena lo vide partire, Aisha cercò di raccapezzare le idee.
Doveva chiamare qualcuno. Doveva avvertire qualcuno. Ma non voleva che Sam capisse.
«Mamma, che è successo?»
Piangeva. Non poteva dirgli che era stato solo un gioco. Aveva compreso subito dallo sguardo di Jacko che c’era qualcosa che non andava. Non aveva idea di cosa lui avesse preso o di cosa lo avesse preso, ma il fatto che si fosse comportato in quel modo nonostante le sue grida era spaventoso.
«Vai in camera tua, dopo ti spiego.»
Cosa gli avrebbe spiegato? Cosa? Si strofinò i palmi sulla faccia. Aveva paura a staccarsi da lui. Eppure bisognava telefonare a qualcuno. Per dirgli che? Chi le avrebbe mai creduto se avesse detto che era molto strano? Era solo un musicista fatto. Ma non era da lui! Che gli era capitato là fuori?
Sospesa in un limbo di panico e incredulità, si sporse di nuovo sulla porta, fissando il punto in cui la macchina di Jacko era sparita.
Il quartiere era immerso nella solita atmosfera da fiaba, e lei stava vivendo un incubo.
D’un tratto, scorse sul marciapiede il tizio asiatico che ispezionava il nucleo, e gli corse incontro sul vialetto d’accesso, senza preoccuparsi dei vicini che si erano affacciati incuriositi dalle grida.
«Ehi!» urlò, agitando un braccio. «Aiuto!»
Lui si voltò di scatto. Era completamente vestito di nero. In più, aveva degli occhiali da sole scuri, e quello, per una convulsa e scoordinata associazione di idee, le riportò alla mente lo sguardo di Jacko. Ebbe paura. Ancora. Di chi avrebbe potuto fidarsi?
L’uomo la stava fissando al di là delle lenti. Immobile, come se la stesse studiando. Poi voltò il mento verso i vicini sulle porte e tornò su di lei, togliendosi gli occhiali.
Niente. Lo sguardo era... normale. Duro. Severo. Cupo. Stonava sui tratti da cartone animato che lo contornavano. Ma era... normale.
Non fece in tempo a elaborare del tutto il pensiero, perché se lo vide arrivare incontro di gran passo; la afferrò per un braccio e la riportò di corsa in casa, mentre lei cercava di divincolarsi ancora dubbiosa su chi o cosa avrebbe potuto farle del male.
L’uomo si richiuse la porta alle spalle e lei scappò verso il divano, le spalle leggermente reclinate in avanti, quasi per tenersi pronta a fronteggiare un attacco.
Sam era scappato in cameretta, forse impaurito dalla nuova presenza.
Non c’era più un rumore. Silenzio. L’uomo non parlava e la fissava intento, riponendo gli occhiali in una tasca dello spolverino, come se si aspettasse che fosse lei a proseguire a seguito della richiesta di aiuto.
«Chi sei? Che sei venuto a fare in questo nucleo?» tentò. Lui continuava a studiarla. Sembrava capire e sapere più di quello che mostrava. Non si sarebbe spiegato altrimenti il modo in cui l’aveva riportata in casa. In giro c’era una strana droga che faceva impazzire la gente. «Sai qualcosa di quello che è successo?»
La speranza di Aisha che l’uomo le chiedesse “Di cosa?” svanì nell’istante in cui lui non mutò espressione e continuò a rimanere in silenzio, quasi fosse consapevole del fatto che lei doveva ancora proseguire.
«Che droga è?» aggiunse. «Cos’ha fatto al mio Jacko?»
«Jacko è l’uomo che vive con te?» La calma e la lentezza di quella domanda quasi la ipnotizzarono, e lei annuì. «Dov’è?»
«Non so dov’è andato.» Si accasciò sul divano con la testa fra le mani. «Non ci capisco più niente.»
«Si è diretto verso il Diciannove o il Ventuno?»
«Diciannove.»
Uno scatto le fece sollevare la testa di colpo.
Tra le mani dell’uomo c’era adesso una pistola.
Oh Dio!
Ma non gliela stava puntando contro.
«Che vuoi fare?»
«Partiranno dei dispacci per i nuclei, presto saprai.»
Si sollevò dal divano e corse a bloccare la porta quando vide che lui se ne stava andando senza dire altro.
«Non puoi...» farfugliò, spiaccicando i palmi contro il legno. «Tu non...»
L’uomo le afferrò un polso con la mano libera, fissandola inespressivo, mentre lei ancora cercava di dibattersi, per difendersi non sapeva da cosa e da chi. E un colpo avrebbe sempre potuto partire accidentalmente.
«Se tu o tuo figlio vedete una strana poltiglia violacea, scappate.»
«Ma cosa...» mugolò.
«Dimenticalo.» Alzò gli occhi su di lui. Incredula. Di cosa stava parlando? «È spacciato.» Jacko? Stava parlando di Jacko?
«Non lo prenderai» ringhiò, cercando di agguantare la pistola. «Se n’è andato in macchina.»
«In macchina?»
Il tono di voce totalmente diverso attirò di nuovo la sua attenzione sull’uomo. Era cambiata anche l’espressione. Sembrava stupito. Interessato.
«Sì, se n’è andato con la macchina.» Si divincolò ancora. «Non lo prenderai tanto facilmente, chiunque tu sia e qualunque cosa tu voglia fargli.»
L’altro la stava fissando, la fronte corrugata. «Non ha tentato di farvi del male?»
«Sì, ma a un certo punto si è bloccato ed è come scappato.» Il silenzio dell’uomo la stava stordendo. «Non ucciderlo, ti prego.» E avrebbe voluto piangere, ma non ci riusciva, tutto era bloccato in gola. Però adesso lui stava perlomeno riponendo la pistola in una fondina appesa ai pantaloni...

Immagine: Pixabay

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