(Stefano Ussi, La cacciata del Duca d’Atene 1860. Firenze, Palazzo Pitti)
Calandoci in
Firenze nella prima metà del 1300, potremo scorgere che si sta lavorando al
completamento dei grandi cantieri aperti per la Cattedrale (che tuttavia sarà
consacrata solo nel ‘400), per Palazzo Vecchio e per le mura, e se ne stanno
iniziando di nuovi come il Campanile di Giotto, Orsanmichele, la Loggia della
Signoria e la Loggia del Bigallo. In questo contesto, le decisioni spettano al
Gonfaloniere di giustizia, agli otto Priori delle Arti, al Consiglio dei
Buonomini e a quello dei sedici gonfalonieri di Compagnia (quattro per ciascun
quartiere, diviso a sua volta in quattro gonfaloni). L’economia è al momento trainata
dalle imprese bancarie e dalle industrie manifatturiere, soprattutto laniere.
Fra l’alluvione
del 1333 e il fallimento dei magnati banchieri della città (1342-1346:
Bardi, Peruzzi, Acciaiuoli e Bonaccorsi), la situazione sociale è però
in bilico e il governo viene affidato al neutrale (perché non
appartenente a fazioni) Duca d’Atene che, cercando di svincolarsi dal sostegno
della classe magnatizia, inizia a promuovere una politica favorevole ai ceti
subalterni, per costituirsi una base di appoggio indipendente.
Il popolo lo vede come un salvatore, ma i Priori e il Podestà non accettano di
dargli la carica a vita. Sin dall’inizio, fa decapitare e impiccare diversi
ricchi cittadini che vanno contro i suoi interessi; il Duca ignora la ricca classe mercantile che gli ha permesso di prendere il
potere, trovando supporto nelle antiche famiglie provate dagli esili e dalle lotte di cinquant’anni prima. Impone misure
drastiche per rimediare al debito pubblico, istituendo prestanze forzate che i ricchi devono corrispondere al governo a
condizioni molto svantaggiose. Il Popolo Minuto, in particolare i lavoratori
dell’Arte della Lana (artigiani e dipendenti), è al di fuori
dell’organizzazione delle Arti e della vita politica, riceve bassi salari, ed è
alla mercé degli imprenditori che non gli riconoscono il diritto di stabilire
il prezzo della mano d’opera. Pagati giorno per giorno con salari da fame, in caso di controversie sono giudicati da un
ufficiale che può sottoporli a tortura. Non godono dei diritti di cittadinanza,
non partecipano alla vita politica ed è loro impedito di riunirsi in leghe. Il
Duca d’Atene permette a lanaioli e tintori di associarsi in Arte, ma il Popolo
Grasso (i ricchi mercanti) che gli aveva concesso di salire al potere,
sfavorevole alle corporazioni fra un numero così grande di lavoratori, comincia
a congiurare contro di lui, rovesciandolo e cacciandolo nel 1343. Il Popolo
Minuto tenta quindi di ribellarsi, ma i tumulti vengono soffocati: nel 1345, il
cardatore Ciuto Brandini incita i ciompi, i salariati della lana (“pettinatori
e scardissieri”, tessitori e cardatori) a formare un’associazione per resistere
alle angherie padronali con scioperi e proteste, ma viene ucciso. Il Popolo
Grasso sfrutta a questo punto la situazione per accentrare il potere nelle
proprie mani.
L’epidemia di peste
del 1348 (con picco fra aprile e settembre) uccide però 4/5 degli abitanti e
porta alla paralisi temporanea delle attività.
Nessun commento:
Posta un commento