"Una giovane incompresa, compressa nel suo ruolo di nubile senza dote, nella quale convivono l'anima innocente dovuta all'educazione moralista e maschilista, e l'indole indomita e sognatrice: contrappunti che la rendono agli occhi di chi legge un'adorabile scheggia impazzita" - Dal blog "Sognando tra le righe"
Care
consorelle e confratelli,
come
vi ho già spiegato nel post di presentazione di questa mia rivisitazione di un
classico, la Lucia protagonista di L’alchimista Innominato si differenzia da quella
manzoniana da diversi punti di vista, anche perché la vita comunale del
Trecento in realtà rendeva una lanaiola paradossalmente più libera e smaliziata
delle tipiche eroine da romanzo storico. La protagonista è dunque una giovane
filatrice che lavora a domicilio per una famiglia di lanaioli fiorentini. Vive
con la madre e, da quando è morto il padre, mantiene lei e se stessa lavorando
per la bottega de’ Tramaglini, al cui rampollo Lorenzo, amico d’infanzia, è
promessa in sposa. In seguito alla sollevazione del 1345 del ciompo Ciuto
Brandini, soffocata con la di lui decapitazione, Lucia continua a battersi dal
basso,
rivendicando il riconoscimento della corporazione dell’Arte della lana. Energica e agguerrita, dotata di forte senso della giustizia (che
nella versione originale spettava all’uomo della coppia), auspica
all’indipendenza e alla parità delle donne lavoratrici, anche se deve covare di
nascosto il malcontento. La sua posizione e la sua influenza potrebbero
cambiare nel momento in cui ser Roderico si invaghisce di lei e vorrebbe
sposarla al posto di Lorenzo, per cui del resto prova solo sentimenti di pura
amicizia, ma lei oppone resistenza al progetto dello sgradevole, vecchio e
corrotto notaio, che, per ingraziarsela, la ricatta sul piano economico e
politico. Ma Lucia non è nobile, e del matrimonio come occasione di ascesa
sociale se ne infischia. Oltretutto il padre defunto, oltre al mestiere, le ha
insegnato a leggere, scrivere e far di conto, anche grazie a una primitiva
classe del quartiere. Le doti di pietà e lo spirito cristiano della Lucia
manzoniana qui diventano speculari sentimenti di ribellione e sete di
conoscenza. Ma la si può conoscere molto meglio osservandola al suo primo risveglio, a cui vi lascio, augurandovi che la
Dea vi benedica
Le
campane di Santa Reparata scoccarono la Prima, e Lucia spalancò gli occhi nel
buio.
Dalle
imposte della stanza d’ingresso filtrava solo un lieve riflesso notturno, e
l’umido freddo dell’inverno fiorentino la spinse a rintanarsi ancora un po’
sotto le coltri, ma il tramestio sul giaciglio le suggerì che la mamma si stava
già alzando.
Lanciò
così uno sbuffo e fece tre volte il segno della croce, sempre da sdraiata; poi,
con un balzo, acciuffò il camicione di lino arrotolato ai piedi del letto e
prese a vestirsi il più in fretta possibile.
«Accendo
una candela» disse la mamma, che nel frattempo si era messa a trafficare nella
stanza accanto. Probabilmente stava togliendo la cenere dalle braci. «Sennò con
questo buio non ci si può lavare il viso.»
«Risparmia
la candela» le rispose, infilando la veste di lana sopra il camicione, «tanto
con questo freddo al bacile non mi avvicino manco morta.»
«Non
dire bischerate» ribatté Agnese, mentre il bagliore di una fiamma si allargava
nell’oscurità. Se non altro, quel giorno le braci si erano mantenute, e non
c’era da correre da una vicina a farsi prestare un tizzone, come spesso
succedeva. «C’è ancora acqua nella brocca o dobbiamo andare alla fontana?»
Indossò
le calze di lana suolate e scaraventò le gambe di sotto dal letto. Ci mancherebbe questa, guarda... Poi prese
a chiudere i lacci della veste. «No»
le venne in mente con sollievo, «ho controllato ieri sera.»
«Brava!»
replicò la madre, con tono orgoglioso, «sarai una sposa premurosa e
previdente.»
«Anche
perché grandi doti non ne ho, a parte il corredo antiquato» mugugnò,
trascinandosi verso il focolare. Adagino, adagino. «Se Lorenzo s’accontenta
davvero che gli sbrighi le faccende di bottega...» Sì, constatò con soddisfazione, strofinando i palmi l’uno contro
l’altro e soffiando sulle braci per ravvivare il fuoco. Un modesto focolare scoperto a
livello del suolo, in terra battuta, su una base di piccole pietre, che però
svolgeva bene il suo compito. Un treppiedi e un paiolo di ferro, e a casa di
Lorenzo ci sarebbe stata anche la catena per la padella. Il calduccio s’è mantenuto.
«Ma
quante volte te lo devo dire?» la rimproverò la mamma, tirandola indietro per
un braccio. «Lo sai che prima si deve andare alla Messa. Lascialo così, poi si
riaccende per bene dopo, per colazione.»
«Menomale
che ero previdente...» Sbadigliò.
«Il
corredo sarà semplice ma pratico» puntualizzò sdegnosa la mamma,
riallacciandosi al discorso interrotto. «Troppo sfarzo non piace al Signore, e
sotto gli strascichi si nascondono i demoni.» Esibì un deciso cenno d’assenso
col capo, quasi a decretare la veridicità della sentenza. «Quello scapestrato
del de’ Tramaglini ti vuole bene davvero da quand’era piccino, se non altro ti
domerà come si deve ora che il babbo non c’è più.»
«Seee...»
Un bimbetto... «Vallo a dire a...» A
ser Roderico. No. Doveva sempre mangiarsi la lingua per non lasciarsi scappare
quel nome. Dato il bottino e il prestigio in palio, c’era il caso che Agnese
pigiasse per farle sposare il vecchiaccio che la voleva al posto dello scapestrato
sposo promesso.
«Vallo
a dire a chi?» La mamma spalancò gli occhi, poi, a sopracciglia sollevate versò
con noncuranza il contenuto della brocca nel bacile e tuffò le mani nell’acqua.
Un brivido attraversò Lucia, e la percorse lungo tutta la spina dorsale,
facendole sibilare aria gelida fra i denti.
«A
Madonna Gertrude» buttò lì.
«Te
quella svergognata la devi lasciare perdere» borbottò Agnese, asciugandosi con
il panno di canapa appoggiato sotto il treppiedi del bacile. «Ti porterà su una
cattiva strada. O chi ti vorrebbe far sposare, lei?»
Un cavaliere esperto di fine amour,
perché i matrimoni d’interesse non sanno di nulla.
Osservò
la faccia imperturbabile di Agnese che le stava indicando il bacile con una
mano.
No, non si può dire.
Prese
un lungo respiro e si arrese all’acqua ghiaccia stecchita. Sciacquò le mani e
si passò gli indici bagnati sugli occhi chiusi, poi si tuffò sul panno che
Agnese, con aria di rimprovero, le stava tendendo. Tuttavia la madre non la
costrinse a lavarsi tutta la faccia. «Mi racconti per bene cos’è che ti presta
la tua Madonna Gertrude?» D’altro canto, le aveva evidentemente letto nel
pensiero.
Poesie d’amore, romanzi cavallereschi e
novelle licenziose. «Storie delle spose perfette dell’Antico Testamento.» C’era di
buono che Agnese non sapeva leggere, e non avrebbe potuto contraddirla nemmeno
rovistando fra i manoscritti in volgare che Gertrude le passava. Un lusso quasi
principesco, che l’amica sfoggiava con orgoglio e benevolenza.
«Ma...»
mugugnò, poco convinta. «Secondo me era meglio se il babbo ti lasciava
ignorante.» Sospirò. «Colpa mia, eh, che non gli ho dato il figliolo maschio
vivo, però non è che doveva per forza mandarti alla classe comunale solo perché
il Signore ci ha tolto tutti gli altri in fasce.» Alzò le spalle e si voltò di
lato, sventolando un palmo. «Ora viene fuori anche questa maestra stramba che
la piglia in simpatia proprio prima che si sposi, ma te guarda cosa ci
mancava...» Scosse la testa. «Voglio fidarmi dei domenicani, e loro m’hanno
detto che
il matrimonio placherà la tua indole curiosa e il tuo umore instabile.»
Forse
la mamma non sapeva nemmeno il significato di quelle parole.
«Ma
cosa ti ha fatto di male?» Madonna Gertrude era riuscita a scampare a un destino
monastico impostole dalla nobile famiglia andandosene dal suo paese e facendo
fortuna come maestra laica, grazie all’istruzione appresa in monastero finché
era stata novizia. «Si è sposata come la norma della scuola impone, cosa deve
fare di più?» A vedere lo sguardo di Agnese, non c’era speranza di redimerla.
«Otto bambini, così smette di lavorare? Che senso ha?»
«Che
senso...» Agnese ciondolò il capo e tornò in camera per recuperare i mantelli
di feltro e la spazzola da spolvero. «O che secondo te invece ha senso lavorare
quando non importa?»
Inutile
discuterci. «Mentre spazzoli...» meglio cambiare discorso, «svuoto i vasi da
notte nel vicolo.» Si affaccendò fra la camera e la finestrella, e si profuse
nel grido quotidiano: «Attenti sotto!»
Nessun commento:
Posta un commento