"Una storia d'amore che inizia dalla crescita emotiva di una giovane donna illusa, delusa e combattiva, prosegue sulla consapevolezza di un sentimento crescente e..." - dal blog "Sognando tra le righe"
Care consorelle e confratelli,
la protagonista del mio ultimo romanzo,"Pandemonium Road" (leggi qui la trama), è leggermente diversa rispetto a quelle dei libri precedenti. Non solo perché si tratta di un essere umano e non di una strega, ma anche perché è più giovane, per cui, se è meno smaliziata e più capricciosa, è anche meno disillusa, e di conseguenza più pronta per imbarcarsi in nuove avventure senza farsi troppe paranoie. Per meglio dire... un po' se le fa, ma sono quelle fissazioni da cui con fatica riusciamo a staccarci entrando nell'età adulta e basta una scintilla per prendere d'istinto nuove strade.
Inizialmente, sembra di trovarsi davanti alla classica eroina di storie risalenti a secoli fa: è orfana, è sola, ha un tutore che non la comprende del tutto e sta per partire per un viaggio pieno di pericoli. Il punto è che Tessa vive in un mondo decimato da una pandemia, il suo tutore è anche l'uomo di cui è infatuata da sempre e che apparentemente non la ricambia, e il viaggio è imbastito proprio per tornare da lui. Forse, quindi, non tutto è perduto. Però, se Tessa un anno e mezzo addietro si è trasferita proprio per togliersi dalla testa quest'uomo, c'è anche il caso che lo strampalato viaggio attraverso la Pandemonium Road le dimostri quanto non si sarebbe mai aspettata, e sicuramente, alla fine del romanzo, il suo modo di pensare sarà molto diverso rispetto a quello che vediamo in questo estratto dal primo capitolo...
Che la Dea vi benedica
Il vetro del
distributore automatico di bibite e snack le rimandò un’immagine di se stessa
che non le piacque.
Non c’era niente
che non andasse nel vestitino a motivi floreali che Tessa aveva acquistato al
mercato orientale del nucleo Trentuno, e la messa in piega appena fatta al
nucleo di residenza, il Trenta, metteva in risalto le ampie onde del suo biondo
naturale, che creava un piacevole contrasto con gli occhi scuri.
Erano proprio
gli occhi, però, il problema.
Fra tre
pacchetti di cracker senza nome e una lattina di soda senza nome, lo sguardo
era annoiato, infastidito, esausto.
E non perché
quelle etichette neutre le riportassero alla mente il tempo in cui, da piccola,
era solita acquistare prodotti con un nome. No, quello no. Ormai il trauma era
stato assorbito da anni; ma il pensiero di dover affrontare di nuovo Raoul,
proprio adesso che stava riuscendo a togliersi dalla testa quell’amore
platonico e impossibile che si portava dietro dall’infanzia, la stava
devastando. Lui continuava a trattarla come una bimba bizzosa, nonostante fosse
ormai un’adulta responsabile e più che attraente. Stronzo! “Attraente”... a parte lo sguardo annoiato, infastidito ed
esausto.
Inspirò a fondo
e inserì le monete per prendersi una merendina al cocco. La solita. Senza nome.
Perché, da quando erano rimasti in pochi, non c’erano più corse ai posti di
lavoro, né concorrenza fra aziende, e i prodotti giravano così, fra gente che
non aveva problemi di denaro – a parte i soliti ingordi che ne volevano
comunque sempre di più – giacché le cose andavano come andavano. Tipo lei, che
si trastullava da sera a mattina e da mattina a sera, perché gli orfani della
pandemia avevano ricevuto fondi che li avrebbero mantenuti a vita. Tutori
stronzi permettendo.
Già tanto che io sia fra i pochi privilegiati che
hanno ancora una sorta di parente, d’accordo.
Certo, valutò,
dando un’occhiata al desolato parcheggio sotterraneo del grattacielo in cui
abitavano in cinque... un meccanico o un fornaio erano utili quanto un
venditore di abiti nuovi – non usati come quelli che si trovavano negli
appartamenti disabitati – o un rifornitore di distributori come quello, oppure
un medico, come Raoul, ma chi avrebbe mai più pensato di fare l’avvocato o
l’ingegnere aerospaziale, per dire? Che importava degli extraterrestri se il
mondo ormai si riduceva a una lunga e non troppo affollata strada cosparsa di
nuclei abitativi attraverso l’Europa?
Rumori. Cigolii
dall’alto. Nel vuoto.
Si strinse nelle
spalle e sgranocchiò la merenda. Pandemia da resistenza agli antibiotici
metabolizzata. Si andava avanti. Bisognava pensare che l’estate era calda ma
non troppo, luminosa e allegra. Olé!
Era Raoul che
porca miseria... La sera prima se lo era guardato ben bene sullo schermo del
comunicatore. I capelli erano ancora leggermente allungati e scuri, non un filo
bianco, e gli occhi severi le perforavano l’anima. Si era irrobustito rispetto
al giovane che si era preso cura di lei alla morte dell’amico, e forse aveva
pure un po’ di pancetta, ma così le faceva addirittura più sangue, accidenti!
Un paio di jeans e una virile camicia a quadri rossi. In fondo, a casa, poteva
sembrare nient’altro che un taciturno boscaiolo. Ed era uno degli aspetti di
lui che le piacevano tantissimo.
Raoul stava al
nucleo Dieci, da dove lei si era allontanata un anno e mezzo addietro per
cambiare aria. Con grande gioia del suo tutore, ovviamente, che pensava solo al
suo bene, ma che nondimeno non mancava di tenersi in contatto per seguire le
sue mosse. Cosa che lei mal tollerava, perché non l’aiutava nel proposito di
levarselo dal capo una volta per tutte. Tanto era inutile insistere. Per lui
sarebbe sempre stata la bimba imprudente che si arrampicava sugli alberi o
l’adolescente ribelle che scappava per andare ai concerti rock, anche se lui
per lei invece era già un eroe, un guerriero d’altri tempi, un cavaliere senza
macchia e senza paura, che salvava le vite in mille modi, compresa la sua.
“C’è una cosa
importante di cui dobbiamo parlare, quando presto verrai qui” le aveva detto,
con quell’aria scoglionata da padre stufo di esibirsi nella solita ramanzina.
Ma che aveva fatto di male, quella volta? E poi, perché era convinto che
sarebbe andata a trovarlo presto? “Però lo faremo di persona. Intanto ti mando
qualcuno che si prenderà cura di te prima di portarti da me.” Adesso voleva
pure trovarle il fidanzato e farsi chiedere la sua mano per togliersi ogni
rottura dai piedi? No, basta, non gli aveva nemmeno risposto e aveva chiuso,
sentendosi fortissima e onnipotente.
Ma tu guarda che storia...
Continuò a
mangiare la merendina, lo sguardo perso nel vuoto, un mugolio di
insoddisfazione che rimbombava per l’enorme ambiente pressoché sgombro. Udiva
rumori sempre più definiti provenire dall’ascensore interno al parcheggio.
Forse qualcuno dal palazzo lo aveva chiamato e stava scendendo.
Alla fine,
scema, aveva come al solito selezionato il “localizza” sul comunicatore, per
vedere se Raoul fosse davvero al Dieci. Persino sulle cazzate, la metteva in
ansia.
Perché invece di
pensare a lei non pensava a se stesso, tanto per incominciare? Uno come lui, in
giro per la Pandemonium Road, di donne se ne portava a letto parecchie di
sicuro. Ma il non averle mai conosciute le alleggeriva il cuore, perché di
certo non si trattava di niente di serio. Il giorno in cui gliene avesse
presentata una, però, Tessa avrebbe avuto la prova del contrario. Tuttavia le
donne erano uno dei tanti argomenti che Raoul si rifiutava di intavolare con
lei.
Lei, che aveva
tentato più volte di relazionarsi con qualcuno, da quando si era trasferita, ma
ai primi appuntamenti già si annoiava a morte. E, se continuava a ragionare da
ottimista, era solo perché il viaggio di andata le aveva regalato una
sensazione nuova: la certezza che qualcuno, al di là di Raoul, avrebbe prima o
poi potuto attirare le sue attenzioni, vista la fissazione che le era presa per
quel cantante rhythm & blues incrociato al nucleo Venti. Fissazione che si
era evoluta anche meno della cotta per Raoul, dato che il tizio, sceso dal
palco, aveva abbracciato una ragazza guardandola con occhi da innamorato
cronico, e il viaggio per lei doveva comunque proseguire. Ma quel particolare,
quel tuffo nella pancia che l’aveva travolta vedendo quel semidio dalla pelle
brunita che si muoveva sotto i riflettori, un ragazzo mai visto prima, un
ragazzo che non era Raoul – incredibile! – le aveva dimostrato che una speranza
di guarigione prima o poi ci fosse. Non sapeva ancora con chi sarebbe successo,
ma era finalmente disposta e di conseguenza determinata a farselo succedere.
D’un tratto, la
sua attenzione fu catturata dal tizio del terzo piano che stava uscendo
dall’ascensore. Ciondolava, come se fosse ubriaco, e la luce mattutina, che
entrava dirompente dalla saracinesca per il passaggio delle auto, glielo mostrò
ancora più annebbiato di quanto probabilmente non fosse.
In effetti, era
in grado di reggersi sulle gambe, camminare e mantenere una direzione, ma, come
lei, aveva qualche problema nello sguardo. Più che infastidito, però, sembrava
spento.
«Tutto okay?»
provò a chiedergli.
Niente. Nessuna
risposta. Lui continuò ad avanzare pericolante, le braccia penzoloni lungo i
fianchi. Tuttavia la guardò e si mise a fissarla muovendosi verso di lei.
Pareva uno zombie. Anche se non procedeva lentissimo come uno zombie. E
cominciò a preoccuparla.
Un passo
all’indietro. E lui aumentava la velocità. Due passi all’indietro. E lo sguardo
vacuo, visto più da vicino, la disorientò...
Immagine: Pixabay
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