venerdì 28 aprile 2017

Le mie donne #11: Tessa

"Una storia d'amore che inizia dalla crescita emotiva di una giovane donna illusa, delusa e combattiva,  prosegue sulla consapevolezza di un sentimento  crescente e..." - dal blog "Sognando tra le righe"


Care consorelle e confratelli,
la protagonista del mio ultimo romanzo,"Pandemonium Road" (leggi qui la trama), è leggermente diversa rispetto a quelle dei libri precedenti. Non solo perché si tratta di un essere umano e non di una strega, ma anche perché è più giovane, per cui, se è meno smaliziata e più capricciosa, è anche meno disillusa, e di conseguenza più pronta per imbarcarsi in nuove avventure senza farsi troppe paranoie. Per meglio dire... un po' se le fa, ma sono quelle fissazioni da cui con fatica riusciamo a staccarci entrando nell'età adulta e basta una scintilla per prendere d'istinto nuove strade.
Inizialmente, sembra di trovarsi davanti alla classica eroina di storie risalenti a secoli fa: è orfana, è sola, ha un tutore che non la comprende del tutto e sta per partire per un viaggio pieno di pericoli. Il punto è che Tessa vive in un mondo decimato da una pandemia, il suo tutore è anche l'uomo di cui è infatuata da sempre e che apparentemente non la ricambia, e il viaggio è imbastito proprio per tornare da lui. Forse, quindi, non tutto è perduto. Però, se Tessa un anno e mezzo addietro si è trasferita proprio per togliersi dalla testa quest'uomo, c'è anche il caso che lo strampalato viaggio attraverso la Pandemonium Road le dimostri quanto non si sarebbe mai aspettata, e sicuramente, alla fine del romanzo, il suo modo di pensare sarà molto diverso rispetto a quello che vediamo in questo estratto dal primo capitolo...
Che la Dea vi benedica

Il vetro del distributore automatico di bibite e snack le rimandò un’immagine di se stessa che non le piacque.
Non c’era niente che non andasse nel vestitino a motivi floreali che Tessa aveva acquistato al mercato orientale del nucleo Trentuno, e la messa in piega appena fatta al nucleo di residenza, il Trenta, metteva in risalto le ampie onde del suo biondo naturale, che creava un piacevole contrasto con gli occhi scuri.
Erano proprio gli occhi, però, il problema.
Fra tre pacchetti di cracker senza nome e una lattina di soda senza nome, lo sguardo era annoiato, infastidito, esausto.
E non perché quelle etichette neutre le riportassero alla mente il tempo in cui, da piccola, era solita acquistare prodotti con un nome. No, quello no. Ormai il trauma era stato assorbito da anni; ma il pensiero di dover affrontare di nuovo Raoul, proprio adesso che stava riuscendo a togliersi dalla testa quell’amore platonico e impossibile che si portava dietro dall’infanzia, la stava devastando. Lui continuava a trattarla come una bimba bizzosa, nonostante fosse ormai un’adulta responsabile e più che attraente. Stronzo! “Attraente”... a parte lo sguardo annoiato, infastidito ed esausto.
Inspirò a fondo e inserì le monete per prendersi una merendina al cocco. La solita. Senza nome. Perché, da quando erano rimasti in pochi, non c’erano più corse ai posti di lavoro, né concorrenza fra aziende, e i prodotti giravano così, fra gente che non aveva problemi di denaro – a parte i soliti ingordi che ne volevano comunque sempre di più – giacché le cose andavano come andavano. Tipo lei, che si trastullava da sera a mattina e da mattina a sera, perché gli orfani della pandemia avevano ricevuto fondi che li avrebbero mantenuti a vita. Tutori stronzi permettendo.
Già tanto che io sia fra i pochi privilegiati che hanno ancora una sorta di parente, d’accordo.
Certo, valutò, dando un’occhiata al desolato parcheggio sotterraneo del grattacielo in cui abitavano in cinque... un meccanico o un fornaio erano utili quanto un venditore di abiti nuovi – non usati come quelli che si trovavano negli appartamenti disabitati – o un rifornitore di distributori come quello, oppure un medico, come Raoul, ma chi avrebbe mai più pensato di fare l’avvocato o l’ingegnere aerospaziale, per dire? Che importava degli extraterrestri se il mondo ormai si riduceva a una lunga e non troppo affollata strada cosparsa di nuclei abitativi attraverso l’Europa?
Rumori. Cigolii dall’alto. Nel vuoto.
Si strinse nelle spalle e sgranocchiò la merenda. Pandemia da resistenza agli antibiotici metabolizzata. Si andava avanti. Bisognava pensare che l’estate era calda ma non troppo, luminosa e allegra. Olé!
Era Raoul che porca miseria... La sera prima se lo era guardato ben bene sullo schermo del comunicatore. I capelli erano ancora leggermente allungati e scuri, non un filo bianco, e gli occhi severi le perforavano l’anima. Si era irrobustito rispetto al giovane che si era preso cura di lei alla morte dell’amico, e forse aveva pure un po’ di pancetta, ma così le faceva addirittura più sangue, accidenti! Un paio di jeans e una virile camicia a quadri rossi. In fondo, a casa, poteva sembrare nient’altro che un taciturno boscaiolo. Ed era uno degli aspetti di lui che le piacevano tantissimo.
Raoul stava al nucleo Dieci, da dove lei si era allontanata un anno e mezzo addietro per cambiare aria. Con grande gioia del suo tutore, ovviamente, che pensava solo al suo bene, ma che nondimeno non mancava di tenersi in contatto per seguire le sue mosse. Cosa che lei mal tollerava, perché non l’aiutava nel proposito di levarselo dal capo una volta per tutte. Tanto era inutile insistere. Per lui sarebbe sempre stata la bimba imprudente che si arrampicava sugli alberi o l’adolescente ribelle che scappava per andare ai concerti rock, anche se lui per lei invece era già un eroe, un guerriero d’altri tempi, un cavaliere senza macchia e senza paura, che salvava le vite in mille modi, compresa la sua.
“C’è una cosa importante di cui dobbiamo parlare, quando presto verrai qui” le aveva detto, con quell’aria scoglionata da padre stufo di esibirsi nella solita ramanzina. Ma che aveva fatto di male, quella volta? E poi, perché era convinto che sarebbe andata a trovarlo presto? “Però lo faremo di persona. Intanto ti mando qualcuno che si prenderà cura di te prima di portarti da me.” Adesso voleva pure trovarle il fidanzato e farsi chiedere la sua mano per togliersi ogni rottura dai piedi? No, basta, non gli aveva nemmeno risposto e aveva chiuso, sentendosi fortissima e onnipotente.
Ma tu guarda che storia...
Continuò a mangiare la merendina, lo sguardo perso nel vuoto, un mugolio di insoddisfazione che rimbombava per l’enorme ambiente pressoché sgombro. Udiva rumori sempre più definiti provenire dall’ascensore interno al parcheggio. Forse qualcuno dal palazzo lo aveva chiamato e stava scendendo.
Alla fine, scema, aveva come al solito selezionato il “localizza” sul comunicatore, per vedere se Raoul fosse davvero al Dieci. Persino sulle cazzate, la metteva in ansia.
Perché invece di pensare a lei non pensava a se stesso, tanto per incominciare? Uno come lui, in giro per la Pandemonium Road, di donne se ne portava a letto parecchie di sicuro. Ma il non averle mai conosciute le alleggeriva il cuore, perché di certo non si trattava di niente di serio. Il giorno in cui gliene avesse presentata una, però, Tessa avrebbe avuto la prova del contrario. Tuttavia le donne erano uno dei tanti argomenti che Raoul si rifiutava di intavolare con lei.
Lei, che aveva tentato più volte di relazionarsi con qualcuno, da quando si era trasferita, ma ai primi appuntamenti già si annoiava a morte. E, se continuava a ragionare da ottimista, era solo perché il viaggio di andata le aveva regalato una sensazione nuova: la certezza che qualcuno, al di là di Raoul, avrebbe prima o poi potuto attirare le sue attenzioni, vista la fissazione che le era presa per quel cantante rhythm & blues incrociato al nucleo Venti. Fissazione che si era evoluta anche meno della cotta per Raoul, dato che il tizio, sceso dal palco, aveva abbracciato una ragazza guardandola con occhi da innamorato cronico, e il viaggio per lei doveva comunque proseguire. Ma quel particolare, quel tuffo nella pancia che l’aveva travolta vedendo quel semidio dalla pelle brunita che si muoveva sotto i riflettori, un ragazzo mai visto prima, un ragazzo che non era Raoul – incredibile! – le aveva dimostrato che una speranza di guarigione prima o poi ci fosse. Non sapeva ancora con chi sarebbe successo, ma era finalmente disposta e di conseguenza determinata a farselo succedere.
D’un tratto, la sua attenzione fu catturata dal tizio del terzo piano che stava uscendo dall’ascensore. Ciondolava, come se fosse ubriaco, e la luce mattutina, che entrava dirompente dalla saracinesca per il passaggio delle auto, glielo mostrò ancora più annebbiato di quanto probabilmente non fosse.
In effetti, era in grado di reggersi sulle gambe, camminare e mantenere una direzione, ma, come lei, aveva qualche problema nello sguardo. Più che infastidito, però, sembrava spento.
«Tutto okay?» provò a chiedergli.
Niente. Nessuna risposta. Lui continuò ad avanzare pericolante, le braccia penzoloni lungo i fianchi. Tuttavia la guardò e si mise a fissarla muovendosi verso di lei. Pareva uno zombie. Anche se non procedeva lentissimo come uno zombie. E cominciò a preoccuparla.
Un passo all’indietro. E lui aumentava la velocità. Due passi all’indietro. E lo sguardo vacuo, visto più da vicino, la disorientò...

Immagine: Pixabay

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