Qualcuno ha sentito la voce tra le righe?
Dopo l’azione serrata e i risvolti apocalittici
di “Pandemonium Road”, dopo il dramma che ne aveva accompagnato la genesi,
avevo bisogno di respirare. E ridere, soprattutto. Ogni autore scrive ciò che
vorrebbe pure leggere, in un determinato periodo della sua vita, e io volevo
qualcosa di leggero, ironico, con tanti disastri, sì, ma spruzzati di glitter
stregonesco.
Così è nato “Le streghe della porta accanto”: una
sorta di famiglia acquisita che mi ha fatto compagnia, con un tetto condiviso,
qualche pozione preparata con quello che c’era in dispensa e un gatto che, per
me, in una casa, non può mai mancare.
C’era una ragazza che aveva appena scoperto di
essere una strega, ma con il quoziente intellettivo sotto il tacco dodici; una
zia che sapeva di esserlo da anni, ma che talvolta avrebbe preferito ignorarlo.
Poi, gli uomini della villetta di fronte: uno troppo scanzonato, l’altro troppo
composto. Tutti e due in grado di scombinare gli equilibri, magici ed emotivi,
del duo di partenza.
Tra la burbera foto animata della defunta zia
Gigliola e il fantasma di Ignazio, chiamato ormai da troppi anni fuori
dall’urna per far rivivere un amore ormai morto, mi sono sentita a poco a poco
avvolgere in un bozzolo di serenità divertita, qual era il mio scopo primario.
Ne è uscita una fiaba col rossetto un po’ sbavato
e il salotto sempre in disordine, con quelle scope che sembrano dimenticate lì
per farti inciampare, proprio quando credi di aver risolto tutti gli inghippi.
Ma, a volte, è giusto quando inciampi che si produce
la scintilla necessaria per innescare la magia.
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