Qualcuno ha sentito la voce tra le righe?
Una sparizione, un agriturismo infestato, rituali
wicca... ma “Trasparenze” non è una vera e propria ghost story, è più un giallo
soprannaturale in cui, dopo l’esperimento storico dell’“Alchimista Innominato”,
quello distopico di “Pandemonium Road” e quello della commedia romantica “Le
streghe della porta accanto”, volevo tornare alle mie radici: le amiche streghe
che uniscono le loro forze per risolvere un mistero.
Non inseguivo il brivido, ma l’indagine che cerca
la crepa, scava nel passato e filtra i colori fino a vedere il presente sotto
un’altra luce, al di là di ogni pregiudizio o convinzione radicata nelle
religioni.
Miriam è una
strega, ma anche una giornalista, quindi deve e vuole scavare; Alessandro no.
Mostrare il passato sotto una nuova luce è proprio ciò che evita. Perché?
Vorrebbe solo dimenticare o nasconde qualcosa? Mattia è un detenuto in
permesso premio con la vista lunga e la voglia corta. Preferirebbe
rimanere in carcere piuttosto che credere di essere in grado di trovare la
crepa. Il paranormale non esiste, per lui; Armida è una medium, o forse
la Grande Madre che si trova un po’ in tutti i miei romanzi, sebbene più fuori
dalle righe del solito.
Il punto è
che il vero mistero è sempre quello che ci portiamo
dentro.
Come ci si muove in un mondo che non ci vede
davvero? Come si parla con i morti, senza smettere di ascoltare i vivi? Come si
fa a brillare, anche quando si è diventati trasparenti? Questo è ciò che Miriam
e le sue consorelle hanno filtrato per me e per voi alla fine del romanzo. Che
l’essere umano lo accetti o meno.
Alcune tematiche presenti nel romanzo, in effetti, hanno disturbato chi si aspettava una lettura rassicurante. Ma raccontare non significa giustificare. E, nel mio mondo narrativo, la magia non serve a salvare l’ingiustificabile. Serve a rivelarlo.
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