Qualcuno ha sentito la voce tra le righe?
Selene entra in una casa per lavoro, grazie a un
contratto che promette molto più di quel che chiede. Da fuori la villa sembra
immobile, ma dentro si muove, in tanti modi. Nel corridoio, nei silenzi, nei
quadri, nelle grida di una donna elegante e rotta, negli sguardi troppo uguali
dei suoi sei inquietanti figli.
Quando Nergal guarda Selene, con un occhio nero e
uno d’oro, non è desiderio, è un riconoscersi, come se sapessero entrambi di
appartenere a qualcosa di più indomabile e antico, più pericoloso, più vero.
Tra loro non c’è una passione salvifica, bensì un
richiamo che contamina, un’invocazione che passa per il corpo e per la voce: quella
della Femmina Innominabile, quella che nessun contratto riesce a zittire e
sigillare.
Qualcuno in “Il diavolo e la strega” ha trovato
una struttura simile a quella di “Spettabile Demone”, ma ne è una sorta di
specchio oscuro. Il Demone era molto più romance e lineare, mentre questo è il
mio romanzo più horror. Soprattutto nel finale... ma non per spaventare, semmai
per evocare. Forse perché lo scrissi nei giorni in cui cercavo di dare un nome all’assenza,
quella minuscola, con il passo felpato e gli occhi che mi seguivano da
diciannove anni.
Un’assenza che nel libro è diventata presenza,
costante, nel quotidiano, nei sogni, quasi Dea essa stessa nel simboleggiare il
grande femminino animalesco e silvestre.
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