giovedì 25 febbraio 2016

Gli animali sacri

Una carrellata sugli animali sacri per gli antichi celti.


Care consorelle e confratelli,
il druidismo delle foreste degli antichi celti era strettamente legato ai totem, di conseguenza alla sacralità degli animali, creature della Madre Terra quanto gli uomini, le piante e i minerali. Il dio dei boschi era il cervo (raffigurato da Cernunnos), animale in grado di guidare per l'eternità il cammino di un guerriero, se questi ne trovava la tomba. Cavalcatura dei guerrieri e simbolo del sole era però anche il cavallo, che non poteva essere usato né per l'alimentazione (come succedeva pure per il cinghiale per i Galli, ma non per gli irlandesi) né per i sacrifici. La forza e le virtù fecondatrici spettavano al toro, tanto che fu impresso sulle monete galliche. A fianco di molte divinità, troviamo anche la figura del cane, soprattutto in compagnia del dio dei fabbri, o come versione celtica dell'egizio Anubi, in quanto conduttore delle anime e guardiano delle sepolture. Una curiosità: dal culto dell'orso (dall'antico celtico "arta") sono derivati numerosi nomi propri gallesi e irlandesi, tra cui il celeberrimo Artù. E che dire della natura divina del serpente? Genio sia dei luoghi umidi sia della terra, veniva spesso associato alla salute delle sorgenti termali, nonché alla fertilità, per l'aspetto fallico. Il gallo (la cresta del popolo omonimo deriva da lui) era invece considerato un animale solare che col suo canto allontanava gli spiriti malvagi della notte, di conseguenza era però anche un animale sacrificale, perché richiesto dalle potenze degli inferi. Tuttavia, gli uccelli in genere erano spesso vittime di queste pratiche, perché le divinità dei boschi e delle fonti li gradivano in offerta (soprattutto anatre e colombe, mentre il cigno era simbolo di immortalità). Per concludere, non possiamo fare a meno di citare l'animale più caro alle streghe, ovvero il gatto. Già per gli egizi era 'veicolo' della dea Iside e anche per i celti ha continuato a "percepire l'energia delle cose": nelle saghe di questo popolo la Dea Ceridwen veniva associata a un gatto nero e diversi clan scozzesi hanno questo animale quale simbolo totemico. Ritenuto 'succubo' delle streghe, nel Medioevo cristiano fu associato al Male e dunque perseguitato, come ahimè accade ancora oggi quando la mente umana si rivela assai inferiore a quella degli animali...
Che la Dea li benedica

Per approfondimenti:
“La magia dei celti” di Pina Andronico Tosonotti (Xenia).

lunedì 22 febbraio 2016

I miei uomini #5: Theo

"Apparentemente timido, dolce, balbetta e arrossisce quando gli si rivolge la parola. Ma di notte, si trasforma in un uomo imprevedibile pieno di furia" - dal blog "La mia biblioteca romantica”


Care consorelle e confratelli,
all’interno della villa di “Spettabile Demone”, dove Iris dovrà svolgere un lavoro per ottenere in cambio tre milioni di euro, vivono cinque misteriosi e bellissimi personaggi, e forse è quello “all’esterno”, per la sua doppiezza, il più mutevole di tutti.
Il giardiniere Theo si presenta all’apparenza come il collaboratore di Bastian più tenero e remissivo, ed è così che inizialmente lo vediamo:

Solo in quel momento Iris si rese conto che qualcosa tra gli oleandri alla sua sinistra si stava muovendo e scorse una figura china tra le frasche con un paio di forbici in mano. Il giardiniere si alzò. Alto, biondo e con gli occhi azzurri. Ovviamente. I capelli gli scivolavano lisci fin sulle spalle e la barba incolta gli donava un aspetto selvatico che contrastava con i lineamenti dolci. Il sorriso e il cenno del capo furono impercettibili, ma Iris li accolse come un saluto, che ricambiò.
«Lui è Theo» esclamò Nadir, allungando il braccio verso quello che Gaia avrebbe sicuramente descritto come il lupo mannaro del gruppo. «Il giardiniere.» Chi l’avrebbe mai detto? E lo osservò quasi divertita mentre si infilava la punta delle dita della mano libera nella tasca anteriore dei jeans dondolandosi un poco, evidentemente imbarazzato. Ma poi, per cosa?
Mentre Damien e Nadir bofonchiavano di proteine e di un certo Zaccaria che era “di là”, Iris si soffermò ancora sull’immagine di Theo che si grattava un sopracciglio e si rimetteva al lavoro. Sì, il signor Blackdeeman si trattava decisamente bene.
Theo si voltò per un breve istante, poi tornò di scatto sulla pianta, lasciando comunque intravedere il lieve rossore di cui gli si era cosparso il viso al di sopra della barba. E non era stato per lo sforzo. Lì davanti, nell’era di Internet e dei viaggi spaziali, c’era un bel ragazzo così timido che era ancora capace di arrossire.
La constatazione la fece sorridere e se ne sentì quasi rassicurata. Non era possibile fingere di arrossire. Un po’ di sincerità, lì intorno, doveva pur esserci, dunque.

Le ultime parole famose… o forse no?

Forse era proprio così, nel bene e nel male, e avrebbe dovuto convincersi che, come riusciva a trovarla impreparata su piani negativi, lo avrebbe fatto anche su quelli positivi.

Di sicuro, Theo ci sorprenderà più volte nel corso della narrazione, perché, se di giorno è un angioletto balbuziente, di notte diventa un barbaro impetuoso. Del resto, è pure quello che con candore e purezza non tergiversa troppo con Iris in riferimento alla sua vera natura di demone, ed è per merito suo se in definiva l’eroina accetta il lavoro e questa storia può cominciare.

Accosciato presso un’aiuola, liberava la terra dalle piccole e inutili erbacce, a mani nude.
Lui alzò il capo per un breve istante, sorridendo, poi riabbassò lo sguardo sull’aiuola e afferrò le cesoie per eliminare dalla pianta qualche invisibile imperfezione.
«Buongiorno» gli disse.
Lui evitò di balbettare e le rimandò un nuovo cenno del capo e un nuovo sorriso. Un lieve rossore gli era salito alle guance, riportando alla mente di Iris l’idea di sincerità che le aveva trasmesso al primo sguardo. Così, d’istinto, uscì in giardino e si diresse verso di lui, scrutando con attenzione ogni suo movimento. Gaia probabilmente si sarebbe fidata di più di Edward mani di forbice, ma Iris rimase in silenzio a osservare le dita affusolate che, senza l’ausilio di guanti, si muovevano agili tra le frasche.
«Bisogna starci molto dietro?» proruppe.
«Mi p-piace» rispose lui.
«Sebastian dice che le mansioni che vi ha affidato vi aiutano a scaricare la tensione.»
«Io f-facevo il giardiniere anche p-prima di c-cadere.» Lui reggeva il gioco del padrone. Niente sincerità. Speranze deluse. E ovviamente non la guardava mai negli occhi. «V-vedo c-cose belle e mi r-rilasso.»
Volevo salutarti perché me ne vado.
No! Perché? Perché mai avrebbe dovuto sentirsi in dovere di comportarsi in maniera educata con un tizio che le aveva sbarrato la porta quando aveva tentato di fuggire? “Attenti al Theo!” avrebbero dovuto esibire sul cancello del giardino.
«La macchina è p-pronta» proseguì lui, sempre con lo sguardo rivolto alla pianta. «Hai già p-parlato con Bastian?»
Abituata al condizionatore della villa, l’aria del giardino le risultava troppo afosa. «Sto andando adesso.»
E fece per incamminarsi verso la porta, quando Theo la fermò.
«Aspetta!»
Quando si voltò verso di lui, vide uno scintillio fra le sue mani. Le dita di Theo iniziarono a plasmare qualcosa di mobile e luminoso e, mentre il cuore le batteva a mille, il fulcro di colori prese a poco a poco le sembianze di un fiore dai petali sottili e violetti. Per essere un gioco di prestigio era decisamente evoluto.
«C-come il tuo nome.» E le tese il fiore. Gli occhi aperti, dilatati, immobili, cristalli. «Iris.»
Lei allungò le dita verso quel magico dono e si sentì travolgere da un’ondata di emozioni. Forse “magico” non era la parola giusta. Non c’era niente di ricreato in tutto quello, per quanto fino a quel momento il fiore non fosse esistito. Perlomeno al di fuori del gioco. Non c’era niente di innaturale, se non una magia naturale. E adesso era lì, fra le sue mani, quella piccola cosa vera di cui Iris aveva avvertito il bisogno poco prima.
Un nodo di emozioni le serrava la gola, il respiro e la voce e, se avesse deciso di parlare in quel momento, avrebbe balbettato pure lei.
Aspirò il profumo dei petali e si perse nello sguardo celeste di Theo, così diverso da quello di carbone di Damien. Non avvertiva arrivare forzature dalla sua mente, se non un’ultima muta, reale, implorazione a restare. “Per il suo bene.”
E ogni pensiero sembrava voler frenare quello che le si accalcava contro la fronte, contro la gola, contro il respiro: l’idea che fosse tutto vero, che quel fiore fosse sul serio sbocciato dalle mani di Theo, del demone caduto Theo. Un bravo ragazzo che non meritava di stare lì.
E lei, lei se lo sarebbe meritato?
«Theo, dimmi la verità» riuscì infine a dire.
«C-cosa?» chiese lui.
«Chi siete?»
Lui deglutì e abbassò lo sguardo, ma lo rialzò presto nel suo. «Non hai c-creduto a Bastian?»
«Dovrei?» Rise, amara. «Per il mio bene? O solo per il vostro?»
«P-purtroppo io non ho un’altra v-verità.»
Era stato lui a “lasciarsi sfuggire” quella parola durante il trambusto della sua tentata fuga. Era stato lui a confessare candidamente quella che per Sebastian era la loro reale natura. Era inverosimile, non voleva crederci, ma più che i secondi scorrevano e più che si convinceva di tutto quanto.
Stava impazzendo pure lei?
Sì, dato che le sembrava sempre meno incosciente tentare, per tre milioni di euro.
Nessuno di loro voleva farle del male. Forse. O almeno fino allo scadere delle due settimane.
E poi, perché avrebbero dovuto farle del male? Non aveva scoperto niente di illegale, nessuno avrebbe dovuto tapparle la bocca per qualche motivo, uscita da lì. Nessuno le avrebbe creduto, se avesse raccontato quanto le era successo. E, se era tutto vero, le avrebbero persino cancellato la memoria.
Tre milioni di euro e quella villa.
Inspirò profondamente e tornò con lo sguardo sul fiore. «Non ci credo» disse.
«Lo so» fu l’unica risposta di Theo.
Avrebbe voluto mettersi a piangere di rabbia e disperazione, ma tornò sui suoi passi e bussò alla porta dello studio di Blackdeeman.

E, grazie a un piccolo fiore, questa lettera si scriverà. Arriverà al destinatario? Sortirà gli effetti desiderati? Lo potrete sapere solo continuando a leggere qui.
Che la Dea vi benedica 

venerdì 19 febbraio 2016

I vini delle streghe

Cinque  particolari vini magici per le streghe.


Care consorelle e confratelli,
quest'oggi vorrei proporvi cinque vini celebri nella tradizione wicca. Sono prodotti caserecci e difficilmente si trovano in commercio, tranne uno, che non è un vero e proprio vino, ma possiamo farcelo rientrare in senso stregonico in quanto bevanda degli dei. Indovinate quale...
Alla vostra!

VINO AL MELILOTO

Il meliloto è un'erba appartenente alle leguminose molto ricca in cumarina, una sostanza dalle proprietà calmanti e drenanti. Per prepararne un vino, basta aggiungerne qualche rametto e lasciarlo in infusione per dieci giorni.

VINO AL TRIFOGLIO

Foglie e fiori di trifoglio (qualche manciata)
1 bottiglia di vino rosso
1 bottiglia di vino bianco
Mezza tazza di zucchero
1 limone
1 pizzico di cannella

Pulire il trifoglio, tritarlo, spremervi il succo di limone e conservare la buccia. Unire a questo punto il tutto in una pentola con il vino. Mischiare, e aggiungere la buccia del limone. Il composto andrà conservato in frigo per due giorni, mescolandolo ogni tanto. Passati i due giorni, si dovrà filtrare il trifoglio (non la buccia del limone!) e aggiungere lo zucchero e la cannella. Mischiare ancora e conservare in frigo fino alla degustazione.

VINO DI MAGGIO

250 gr di asperula
150 gr di zucchero di canna
150 cc di acquavite
750 cc di vino bianco

Bollire il vino, versarlo sull'asperula e far macerare per due ore e mezzo. Filtrare e aggiungere lo zucchero e l'acquavite. Filtrare di nuovo dopo un'ora con una garza, e imbottigliare. Si tratta di un ottimo tonico.

SIDRO DI MELE

10 kg di mele (con la buccia)
10 l di acqua
1 kg di zucchero
1 cubetto di lievito di birra

Bisogna mischiare in un grosso mastello le mele tritate con lo zucchero e versarci l'acqua bollente. Il tutto dovrà riposare in una stanza con temperatura fra 22 e 20° per una notte. La mattina dopo vi sbricioleremo sopra il lievito di birra e lasceremo riposare per altre 24 h. Il composto dovrà riposare una settimana, ma dovremo mescolarlo due o tre volte al giorno, aggiungendo alla fine ancora un po' di acqua e di zucchero (qb). Una volta filtrato, il composto dovrà riposare  un altro giorno e andrà poi versato in piccole damigiane con tappi per la fermentazione. Il travaso avverrà dopo tre settimane,  e dopo tre mesi dovremo passare ad altre damigiane pulite, per far depositare il fondo. Dopo tre mesi ancora, si potrà imbottigliare.

VINO DI SAMBUCO

5 kg di bacche di sambuco
350 gr di uvetta
3 kg di zucchero
3 cucchiai di acido citrico
2 cubetti di lievito di birra
10 l d'acqua

Il procedimento è lo stesso usato per il sidro.

giovedì 18 febbraio 2016

Il giorno del frassino

Un albero 'ultraterreno' per il mese di Nion...


Care consorelle e confratelli,
il giorno di oggi, 18 febbraio, segna nel calendario celtico degli alberi, l'Ogham, l'inizio del mese dedicato all'albero del frassino: Nion. Questa pianta, simbolo di potenza e immortalità, era sacra ai druidi come tutti gli alberi protagonisti del calendario: chi lo danneggiava veniva punito. Per la sua forma, con radici profondamente radicate nel terreno e rami che si innalzano verso il cielo, è considerato un albero a metà strada fra le due dimensioni, fra gli elementi della terra e quelli dell'aria, mondo terreno e mondo ultraterreno (non a caso, secondo la tradizione popolare, spezza il cuore dei vampiri). Questa è anche la ragione per cui consente, a livello magico, i contatti fra un piano e un altro. La leggenda, tra l'altro, vuole che segni il passaggio delle Fate dal loro universo al nostro. Per cui facciamo bene attenzione, quando passiamo vicini a questa magica pianta...
Che la Dea vi benedica

martedì 16 febbraio 2016

I miei uomini #4: Fulke

Ho apprezzato molto il fatto che, per la parte più romance, la scelta dell’autrice sia ricaduta su un protagonista che è un po’ l’antitesi del solito macho muscoloso, bello e dominante. Col suo fascino quasi etereo e le sue difficoltà linguistiche, che danno vita a un buffo eloquio, Fulke appare quasi fragile, impacciato, a volte schietto al punto da rasentare l’ingenuità, a volte indecifrabile e sfuggente. Irresistibile per la sua unicità più che per la prestanza fisica” – dal blog “Il flauto di Pan”


Care consorelle e confratelli,
ho deciso che oggi vi confesserò un retroscena... In una vita precedente, quando ancora non avevo scoperto le gioie di Amazon, un grosso editore si era dimostrato interessato al progetto delle Spose della notte. Se poi si risolse tutto con un nulla di fatto, fu soprattutto per le ripetute dimostrazioni di insolvenza della casa editrice in questione, ma Fulke giocò di sicuro un ruolo determinante: il personaggio doveva essere eliminato! Troppo fuori dalle righe e diverso, strano, rispetto alle aspettative sui protagonisti maschili di questo genere (immaginiamoci dunque la faccenda in relazione allo sviluppo di “Luna di notte” in merito alle 'regoline' etiche del romance tradizionale…). Le motivazioni dell’addetta ai lavori apparivano confuse e poco convincenti; per quanto tentassi di comprenderla, andandole incontro con varie modifiche (anche se spesso ero io che dovevo spiegarle le tecniche di scrittura), la ragione di fondo era chiara: bisognava sostituirlo con un eroe romance mutuato da una serie estera di successo. E lì dipende da cosa si vuole ottenere, nel rispetto dei sogni, delle aspirazioni e delle esigenze di tutti; cosa si accetta e cosa non si accetta, anche se ancora non si è raggiunto lo stadio esoterico necessario per materializzare banconote, seppure poverelle come me. Pertanto, date le notorie dimostrazioni di insolvenza economica di cui sopra, mi opposi. Il problema maggiore appariva il bizzarro modo di esprimersi a causa delle difficoltà linguistiche di questo misterioso e ambiguo mezzelfo proveniente da Bosco Nevoso. Proviamo ad ascoltarlo...


Fulke si guardò un attimo intorno, con aria imbarazzata. «Libero?» chiese, indicando la sedia di fronte a lei.
Dunia annuì e lo osservò con curiosità mentre si sporgeva sul tavolo e si scostava una ciocca di capelli per mostrarle che le orecchie erano ancora al loro posto.
«Fulke» si presentò.
Già...
Lui fece per tenderle una mano, ma una sorta di creta invisibile gliela bloccò a metà tavolino. Rimase a fissarla per un attimo a sopracciglia aggrottate, poi annuì. «Capito.» E la tirò indietro, ripetendo: «Fulke.» Le sorrise con un’aria spensierata che la fece disperare in merito al possibile piano di adescamento che le sarebbe stato presto propinato. «Servizi segreti magici.»
«Sì.» Gli rimandò un risolino forzato a labbra stirate. «Mata Hari, piacere.»
«Previsto questo.» Lui si accigliò e si grattò il capo con la punta dell’indice. «Però io Agente Fulke di Bosco Nevoso comunque. Scusa ma io non parlo bene tua lingua. Dispiaciuto per tuoi amici.»
«Come no?» Se non altro, Ramòn aveva raccontato la sua versione prima di sapere che non poteva toccare Titania. «Adesso mi dirai che hai fatto di tutto per evitare la strage e che non ti è possibile per il momento consegnare i colpevoli ai tuoi superiori.»
«Esatta prima parte, errata seconda.»
Dunia si accomodò contro la spalliera della sedia e lasciò che il cameriere le deponesse davanti il caffè. «Tu che prendi?»
«Io latte caldo.» E sorrise anche al cameriere, intrecciando le mani sul tavolo.
Il cameriere annuì e, quando si fu allontanato, Dunia incrociò le braccia sul petto. «Sentiamo dove ho sbagliato con seconda parte» cantilenò, calcando sulle ultime parole per prenderlo in giro. «Perché non puoi consegnare i colpevoli?»
Fulke le lanciò un’occhiata di disappunto. «Io no incaricato di consegnare colpevoli a miei superiori, io incaricato di uccidere.»
«E perché non lo fai?»
«Loro protetti.» Prese fiato. «Io non posso.»
In effetti, non faceva una grinza.
«E perché se sei con loro da prima dell’equinozio d’autunno non li hai uccisi a mezzanotte?»
«Oh!» esclamò irritato. «Io uccisi dieci in pochi minuti. Tu permetti avanzati due?»
«Proprio quei due?»
«Più potenti. Prevedibile.» Sembrava quasi vero.
«E loro non si sarebbero accorti che sei stato tu, che stai facendo il doppio gioco?»
«Io bravo a fingere.»
«Ma ci sei o ci fai? Ti tiri la zappa sui piedi da solo?»
«No, io no usato zappa.»
«È un modo dire!»

Alzò una spalla e scosse la testa. «Noccapito.»

L’addetta appariva convinta del fatto che le lettrici (secondo alcuni editor, le autrici spesso “le sopravvalutano”… opinione su cui intavolare un bel po' di discussioni) non avrebbero compreso che l’effetto ridicolo era in parte voluto ("in parte", perché, secondo me, quello che non si capisce bene di Fulke, e pure questo è voluto, è appunto “se ci è o se ci fa”, dato che a tratti lo si intuisce molto più furbo e pericoloso di quanto dà a vedere).


Due tronchi come una “V”, e Fulke in mezzo, aggrappato alle cortecce.
Immerso nel suo ambiente naturale, appariva diverso, più evanescente, confuso con i colori e le linee del bosco. Indossava solo un paio di pantaloni color della terra, tuffati in scarponi di cuoio, e a torso nudo sfidava il gelo della stagione, come immerso in una bolla di calore arrivata forse dal nulla, o forse da Bosco Nevoso. Non c’era niente di sensuale in quella figura, eppure Dunia sentiva impellente il bisogno di avvicinarsi, di abbracciarlo e di fondersi a lui.
Non poteva essere sorpreso di averla vista, non poteva essere stupore o curiosità l’aria disegnata sui suoi tratti, quasi che Dunia non dovesse dare per scontato che la stesse ormai seguendo da un pezzo. Doveva essere per l’ambiente, per l’atmosfera, per il fondale fiabesco contro il quale si stagliava, che il suo sguardo non appariva quello di sempre.
Era più cupo, attento, arcano e, se Dunia avesse potuto toccarlo, lo avrebbe fatto, ma solo per cercare di capire se si trattava davvero di lui, o di qualcun altro. Qualcos’altro. Un sogno, una visione, una proiezione della sua stessa mente.
Ma non poteva.
Se ne restava lì, muto, immobile, con lo sguardo fisso in lei, e non si decideva a parlare, nonostante fosse ormai chiaro che lo aveva scorto tra le frasche.
Il dilatarsi del tempo infuse in Dunia il timore che stesse per accadere qualcosa di diverso, o perlomeno di insolito, così come era insolito l’atteggiamento di Fulke. Non riusciva a percepire se si trattasse di qualcosa di negativo o di positivo. Le sensazioni erano contrastanti, e rimase immobile anche lei, nell’attesa che accadesse quel qualcosa. Fissa nel suo sguardo. Finché non cominciò a sentirsi abbracciare da uno strano torpore.
La testa prese a girarle e il cuore a batterle più forte, nella certezza che non potesse essere tutto così positivo. Così fu costretta a piegarsi sulle ginocchia e ad appoggiarsi al terreno fradicio con la punta delle dita prima, con tutti i palmi poi.
Si sentiva ubriaca, ebbra di sensazioni, colori, profumi, suoni, che presero a vorticarle per i sensi finché non vide gli scarponi di Fulke comparirle davanti agli occhi.
Si sedette e si accasciò sempre più, incapace di compiere movimenti e di pensare se non al fatto che tutto quello non andava bene, che c’era qualcosa di sbagliato e che non riusciva a capire cosa.
I rami sopra di lei si plasmavano come braccia e le radici emergevano dal terriccio quasi fossero dita adunche pronte ad afferrarla, mentre tutto si distorceva in un amalgama di colori che sfumava dal verde al marrone, dal marrone al verde. Mille occhi si accesero fra le ombre e i nodi delle cortecce assunsero sembianze umanoidi. Sussurravano, bisbigliavano, parlavano in una lingua sconosciuta che si faceva musica alle sue orecchie, inebriandola sempre più, in un connubio di spirito e materia, forme e linee evanescenti che si scambiavano di posto fra sagome che si incastravano e giochi di luce che le ammorbidivano.
Fulke si era inginocchiato di fronte a lei e le tendeva una mano.
Gli occhi color del miele balenavano in sintonia con l’humus dell’autunno colpito dai raggi del sole e acquistavano una sicurezza e una determinazione che mai avevano avuto fino a quel momento.
Continuava a tenderle la mano.
Nell’incoscienza di quel torpore, Dunia fece quasi per afferrargliela, ma lo sforzo che le richiese quel movimento le ricordò che non avrebbe dovuto desiderare di raggiungere le sue dita tanto fortemente da realizzare le sue intenzioni.
Eppure qualcosa si agganciò alla sua mano, qualcosa di duro e di freddo, di materno e rugoso, gliela sfiorò e le diede la forza di tornare a issarsi almeno sulle ginocchia, qualcosa che somigliava a un ramo, e che forse lo era.
Quel tocco, a poco a poco, la riportò alla realtà. L’effetto di quella droga misteriosa svanì e Dunia si ritrovò improvvisamente a fissare Fulke, inginocchiato di fronte a lei.

Il suo primo istinto fu quello di allungare un braccio, per accertarsi che la barriera ci fosse ancora; poi, quando se ne fu assicurata, di chiedere: «Perché mi hai teso la mano? Sapevi che non potevo afferrarla.» Inspirò profondamente e si passò l’avambraccio sulla fronte, ma Fulke non rispondeva. E di nuovo fu presa dal dubbio che si trattasse solo di una visione. «Volevi che cedessi? Che desiderassi afferrartela per rompere la barriera?» Il fatto che Fulke continuasse a non rispondere la portò subito a pensare di essere nel giusto. Che ci avesse provato davvero. Che non ci fosse riuscito e che adesso non sapesse cosa risponderle…

Il compromesso, secondo l'editor, era un accento europeo preciso, per esempio IL TEDESCO. E...  be’, io l'avrei anche fatto parlare come i personaggi di "Sturmtruppen", ma allora sì che poi sarebbe parso rrriTicolo a tutti gli effetti. Che dire, dunque? Ben lieta che Fulke se ne sia andato in giro da sé e che sia stato apprezzato così com’è.
Che la Dea lo benedica

domenica 14 febbraio 2016

Pozioni afrodisiache

Magici elisir per la Festa dell'Amore.


Care consorelle e confratelli,
per la Festa dell'amore dello scorso anno vi ho segnalato le pietre che possono servire come amuleto per attirare il magico sentimento protagonista della festa di oggi (riguardo le radici storiche vi rimando al post Imbolc, Candelora, i Lupercalia e San Valentino - Alle origini delle feste di febbraio), e quest'anno vorrei procedere con i piaceri dell'olfatto e del palato. Per divertirci, però, più che di ricette vere e proprie, vorrei ricordare alcuni celebri elisir della tradizione, fra cui, per esempio, quello dedicato al dio Priapo, un infuso di semi di finocchio, verbena e coriandolo, in parti uguali, da bersi come un tè. Nell'olio per il corpo (per la base vanno bene sia la mandorla sia il sesamo) aggiungiamo invece rosmarino, zenzero, chiodi di garofano, pervinca, cumino, timo, noce moscata e cannella. Per quanto riguarda gli incensi, caro a questa giornata, è quello del dio Cernunno. Basta bruciare foglie di alloro, menta, essenza di patchouli e chiodi di garofano. Di Cernunno, per finire, abbiamo anche il profumo: 3 parti di muschio, 3 di zibetto, 1 di ambra grigia e 1 di patchouli, da mischiare in alcol puro nella quantità desiderata. Come variante è possibile utilizzare olio di patchouli, sandalo e gelsomino, con essenza di lavanda, vaniglia, cedrina e chiodi di garofano.
Vi ricordo che oggi esce il terzo e conclusivo capitolo della serie a tema streghe delle Spose della notte. Ecco qui cover e link.
Che la Dea vi benedica

venerdì 12 febbraio 2016

La pietra di Tara

Un'antica leggenda un po' irlandese un po' scozzese...


Care consorelle e confratelli,
da epoche remotissime l’umanità si è dedicata al culto delle pietre sacre, e oggi voglio raccontarvi una leggenda riferita a una delle terre celtiche per eccellenza: l’Irlanda.
Si narra che gi antichi popoli abitanti di questo paese possedessero un enorme blocco di pietra in grado di riconoscere il vero sovrano. Installato a Tara, e denominato “pietra del destino”, pare che riuscisse nell’intento emettendo delle grida, conseguenza di vibrazioni che permettevano di cogliere le virtù del prescelto. Questo doveva poi spogliarsi di abiti e gioielli e fondere le proprie energie con quelle della Madre Terra. Si vociferava che nel corso del rito (segreto) il nuovo regnante venisse fustigato con rami d’agrifoglio e che il sangue fosse poi raccolto nelle coppe da cui si sarebbero abbeverati i futuri servitori, come giuramento di fedeltà. Ricoperto da un drappo bianco, doveva infine riposare per una notte ai piedi della pietra, sotto cui sarebbe stato sepolto nel caso non si fosse dimostrato degno dell’investitura.
Per servire all’incoronazione dei re, il blocco di pietra fu in seguito trasferito prima in Scozia e poi a Westminster, per finire incastonato nel Trono dei reali inglesi. Si ritiene però che gli Scozzesi, ai tempi della loro supremazia, nascosero la pietra originale, e ancora oggi ridono dei cugini inglesi, in possesso di quella falsa.
Se volete conoscere altre leggende come questa, vi consiglio un libro già citato in precedenza in alcuni Consigli magici, ovvero “La magia dei celti” di Pina Andronico Tosonotti (Xenia).
Che la Dea vi benedica

giovedì 11 febbraio 2016

Le bevande delle streghe

Quattro semplici bevande per streghe e stregoni moderni.


Care consorelle e confratelli,
vi andrebbe un tè o una tisana? Oppure un magico elisir? Vi farebbero comodo quattro semplici ricette per streghe e stregoni moderni? Per esempio, se volete attirare l'amore, potete farvi un tè alle rose, mettendo in infusione i petali come per una qualsiasi tisana. Oppure, se siete un pochino raffreddati, potete rivolgervi alla tisana dei sette fiori (farfara, viola, verbasco, altea, malva, primula, rosolaccio). Ne bastano 10/12 gr a l d'acqua. Ovviamente, dopo aver filtrato, lo zucchero e il miele si possono mettere a piacere. Però potreste essere così golosi nel gusto e nell'olfatto da provare la voglia di uno sciroppo alle violette. In questo caso, ve ne servono 100 gr, 1 l e 1/2 di acqua, 1/ kg di zucchero di canna e la scorza di un limone. Dovrete cuocere il tutto e far bollire finché il liquido non scende di 1/3. Dopo che lo sciroppo si sarà raffreddato, lo potrete conservare in bottiglie sterilizzate. Per l'elisir di crespino vi occorreranno invece 1 kg di bacche mature di questo vegetale e 750 cc di acqua. Le bacche tagliate a spicchi dovranno cuocere nell'acqua finché il composto non diventa morbido (potete aiutarvi con delle mele). Il composto, compatto, andrà conservato in frigo in un panno di lino e diluito in acqua fresca all'occorrenza.

martedì 9 febbraio 2016

I miei uomini #3: Damien

"La lettura è originale, narrata in modo coinvolgente ed emozionante, la storia pur sembrando in apparenza eccentrica è senza eccessi sia per la trama che per i personaggi non scontati e senza stereotipi tanto che se ne vorrebbe sapere di più sui secondari e ci si affeziona a tal punto da voler chiedere quasi un seguito anche se il libro è conclusivo." - dal blog "Storie di notti senza luna"


Care consorelle e confratelli,
mi arrendo: dopo aver iniziato la carrellata dei “miei uomini” con due personaggi della serie Le spose della notte, Elias e Wulfran, lascio oggi spazio a un secondario del precedente autoconclusivo Spettabile Demone (leggi qui la quarta di copertina), che pare abbia lasciato qualche segno. Da giugno, continuo a ricevere diversi messaggi in cui mi si chiede se scriverò in futuro un libro in cui farò tornare questo demone fuori di testa, ma avevo ideato il romanzo come autoconclusivo, dunque un’ipotesi del genere non era in conto. Anche perché non immaginavo che questo libriccino avrebbe avuto successo, né tanto meno che le lettrici si sarebbero affezionate a un antagonista ‘caduto’, un dannato, che per essere condannato nella sua dimensione deve averla combinata veramente grossa; è un demone metallaro, pieno di piercing, tatuaggi, beve, fuma, dice parolacce, si masturba pensando di insidiare le donne in ogni modo, e per certi versi è pure un po’… fatemelo dire: coglioncello. Ecco, non è un eroe romance tradizionale. Insomma, non faccio spoiler, ma questo è un vero e proprio delinquente, pericoloso, però è figo, e simpatico, e voi mi avete fatta sentire diseducativa, anche se non era nelle mie intenzioni, dato che l’ho pensato come ‘spalla’ e non come primario. Eccolo nel momento in cui piove dal tetto sul terrazzo della protagonista per ingaggiarla:


Era alto più o meno due metri e ben piazzato, seppur asciutto. Non avrebbe impiegato molto a metterle fuori gioco entrambe.
Indossava un paio di pantaloni di pelle e una t-shirt nera slabbrata. E neri erano anche i lunghi capelli lisci, che si sfoltivano sul lato sinistro per una rasatura su cui era stampato un tatuaggio. Iris cercò di scorgere le linee del rapace raffigurate dal disegno, l’orecchio cosparso di piercing, una campanella d’oro alla narice, altri tatuaggi sparsi sulle braccia, pelle d’avorio e iridi di pece.
Non parlava. Sembrava lui quello in attesa di una reazione. Perché? Una forza ignota spingeva Iris a rimanere lì, a cercare di capire, ad ascoltare cosa avesse da dirle con quello sguardo di tenebra. Se non fosse stato per la situazione, si sarebbe attardata a pensare che lui fosse bellissimo, in maniera arcana e indecifrabile, con quel sorriso appena accennato. Pareva sicuro di sé. Meglio continuare a tenere la porta chiusa.
«Guarda che questo se vuole sfonda il vetro con una carezza» sembrò leggerla nel pensiero Gaia.
«Ho un lavoro per te» esclamò lo sconosciuto guardando Iris fissa negli occhi.
Lei si sentì pervadere da uno strano torpore. C’era qualcosa che non andava in tutto quello. Non credeva affatto a gitani che ipnotizzavano la gente per derubarla. Se in quel momento si sentiva debole, era certo a causa delle ginocchia che tremavano e dello stomaco in cui svolazzava un esercito di animaletti irrequieti.
«E che lavoro sarebbe?» gli rimandò tuttavia.
«Un lavoro per cui potresti guadagnare...» replicò lui, «duecentomila euro al giorno per quindici giorni.»
Duecento per quindici... Tre milioni di euro in due settimane?
«Questo è pazzo!» bofonchiò Gaia, riaggrappandosi ancora alla sua mano serrata sulla maniglia. «Vieni via!»
«Solo scrivendo.» La nuova precisazione dello sconosciuto la sbalordì. Certo, aveva ascoltato tutto, quindi poteva trattarsi di un buon metodo per irretirla, ma sembrava che in quanto a persuasione non gli mancassero altre doti. Che Iris stava tentando in tutti i modi di cacciare dalla mente. Di qualsiasi cosa si fosse trattato, forse non era così energica come aveva avvertito in un primo momento. Poteva farcela. «Gaia, non senti qualcosa di strano?»
«Iris! Tutto è molto strano se continuiamo a stare qui ad ascoltarlo!» gridò l’altra, sconcertata.
«Il mio capo è una persona molto seria» riprese l’altro. «Ti assicuro che avrai tutti i soldi.»
«Se vuole gli faccio pubblicare un annuncio sul giornale» replicò Iris. Si sentiva quasi divertita. Come pensava che potesse credergli? «Oppure potrebbe rivolgersi alle agenzie interinali.»
«Non è così semplice» rispose lui.

«Chi l’avrebbe mai detto?» replicò lei. «Strano che non accalappiate i creduloni col telefono, è più comodo del free climbing».

Avrei dovuto sospettare che le lettrici avrebbero scambiato il suo presentarsi per primo come la dichiarazione di essere il protagonista; così come il suo mostrarsi spesso sensuale ma inoffensivo al tempo stesso indice di un qualche sviluppo. Ma Damien ‘finisce’ lì dove si vede, nel senso che è esattamente quanto mostra, e prova quello che dice, a differenza di altri personaggi di questo romanzo. Dunque è molto difficile che una creatura in balia solo di stimoli corporali possa assumere il ruolo di 'lui.' Damien ha slanci passionali, desideri fisici, non ha la natura dell’uomo che si innamora. Certo, seppur a livello metaforico all’interno di un fantasy, Damien introduce temi complessi come la relatività della giustizia e la pena di morte, ma se proviamo empatia per la sua condizione è soprattutto perché la canaglia s’ingegna di tutto pur di farcela provare.


E puntuali i rumori arrivarono, flebili e impercettibili; non sarebbe stata in grado di udirli se non fosse stata sveglia e concentrata su di essi, ma erano lì.
Dopo circa un quarto d’ora, come sempre, si arrestarono.
Da un lato si sentiva spinta a rintanarsi in camera e a non curiosare troppo, dall’altro un impulso più forte le fece aprire la porta e sbirciare nel corridoio.
Sulla destra, dove la volta scorsa aveva visto Theo, non c’era anima viva.
Le scalette. Sulla sinistra.
Si voltò di scatto e il cuore le balzò in gola.
Impalato e lugubre in fondo al corridoio, appena sotto la scala che conduceva sul tetto, c’era Damien.
Nudo, come Theo, ma non le dava le spalle, e la guardava senza pudore, duramente, più che beffardo.
La distanza non le impedì di scorgere il lampo gelido negli occhi neri e la perfezione delle forme. I tatuaggi scuri disseminati sulla pelle diafana. Sembrava un vero demone appena caduto dal cielo.
Damien abbassò il mento e prese a camminare, lento, mentre Iris si richiudeva la porta alle spalle, ricordando che la mancanza di chiavi non l’avrebbe difesa.
Ma da cosa?
Sentì un tonfo dietro la porta. Un palmo che sbatteva. Niente campanello. Niente maniglia che girava. Niente di niente, da Damien. E avrebbe voluto gridare per lo spavento, chiedergli al contempo se fosse tutto a posto, ma ogni cosa le appariva irreale, mentre i secondi scorrevano nell’attesa di un cenno - minaccioso o rassicurante che fosse - dall’esterno.
«Buonanotte, baby.» Il sussurro ovattato dalla porta la fece sussultare.
Buonanotte?
Rimase a lungo a fissare la maniglia, mentre nessun passo, nessun rumore, l’avvertiva di un allontanamento o meno di Damien.
Attese ancora, poi si fece coraggio, e aprì uno spiraglio.
Non c’era più.
Nessuno.
Il corridoio era deserto.
Si era divertito a scappare.
E lei avrebbe voluto rincorrerlo per capire chi diavolo fosse, cosa avesse combinato e come mai il sole gli avesse bruciato le ali.

Perché, nel precipitare della notte, accoccolandosi sul materasso, i racconti di Sebastian le parvero meno inverosimili, mentre su uno sfondo immaginario e lontano, Bruce Dickinson continuava a cantare di un folle dallo sguardo rilucente che volava come un’aquila. In alto, come il sole.

Tuttavia, come ho scritto più volte nel rassicurare le lettrici, il mio mondo è costruito in modo e maniera che, se un personaggio di un mio romanzo dovesse spuntare all’interno di un altro, si potrebbe fare. Difatti ho annunciato poco fa in questo post che lo vedremo di nuovo in uno spin off di Le spose della notte, ed è facile intuire come e perché leggendo il finale della trilogia, La fine della notte. Ci vorranno dei mesi prima che questo avvenga, ma in qualche modo pure lui avrà la sua redenzione.
Che la Dea lo benedica

lunedì 8 febbraio 2016

La fine della notte

Care consorelle e confratelli, è online per la prevendita l'ultimo volume della trilogia delle Spose della notte, che uscirà nel giorno della Festa dell'Amore, domenica 14 febbraio. Spero con questo capitolo finale di non deludere chi ha seguito la storia finora attraverso Le spose della notte e Luna di notte, e di salutare al meglio alcuni (solo alcuni... in questo post c'è il perché) di questi personaggi. Che la Dea vi benedica


Anonima Strega – La fine della notte
(Le spose della notte 3)

Il capitolo conclusivo delle Spose della notte

Elias è libero, privato della memoria, e sta svolgendo il programma di recupero impostogli dal Consiglio, mentre Dunia, riunitasi alle consorelle, scopre di essere incinta. Jeremiah è occupato a tenere sotto controllo un’area in cui pare che i piani di procreazione della Loggia siano ancora in atto, ma continua a lavorare per accordare privilegi a Dunia. Il Consiglio vorrebbe che le ragazze si stabilissero a Palazzo, ma Jeremiah pressa affinché Elias e Dunia non si incontrino. Quando Dunia, incitata da un rituale che ha messo lei e le consorelle in guardia nei confronti della Loggia, decide di rivelare la verità sulla gravidanza a Jeremiah, questi cede al Consiglio e porta a Palazzo le tre donne per proteggerle, ma non sa che qualcuno di molto vicino sta manovrando in segreto contro di loro. Fra un rituale e un incontro, però, certi stimoli visivi possono far riaffiorare i ricordi anche in chi non dovrebbe averne più...

ANONIMA STREGA si occupa da sempre di tematiche legate all’occulto. Preferendo tutto quanto concerne l’universo femminile neopagano, è di conseguenza al contempo molto romantica, anche se l’oggetto dei suoi desideri esce spesso dalle righe, così come i personaggi delle sue storie. Crede fermamente che gli elementi del creato siano guida e strumento, sia per le streghe, sia per i protagonisti di avventure d’amore paranormali, come quelli dei romanzi “Spettabile Demone”, della trilogia “Le spose della notte”, dei racconti “Killer di cuori”, “La felce e il falò”, “Clausola di rescissione” (su “La mia biblioteca romantica”) e “La fame del ghoul” (su “Romanticamente Fantasy”). Il suo antro è situato in un luogo nascosto, custodito da una gatta nera d’angora e una coppia di anziani troll norvegesi. Dispensa consigli magici su anonimastrega.blogspot.it

Genere: urban fantasy/paranormal romance
Numero di pagine: 282
Editore: Self
Prezzo: 1,99 euro
Data di uscita: 14 febbraio 2016
(anche per Kindle Unlimited)

Per chi non possiede un lettore Kindle:
(a questo link è possibile scaricare alcune applicazioni gratuite per leggere gli ebook di Amazon su tutti i tipi di cellulari, tutti i sistemi del fisso o, ancora più comodo, sul tablet).

giovedì 4 febbraio 2016

Le bottiglie magiche

3 bottiglie magiche per attirare la fortuna nella vostra casa.


Care consorelle e confratelli,
le streghe moderne, che non riempiono più i loro calderoni con unghie, capelli e povere lucertole, sono solite tuttavia preparare 'pozioni' da custodire nell'antro per scopi ben precisi (sempre buoni, ovviamente). Fra le più note 'bottiglie magiche' ce ne sono per proteggere la casa, per attirare soldi oppure l'amore. Ve ne segnalo qualcuna di queste qui di seguito, con lista degli 'ingredienti' annessa, e che la Dea vi benedica

BOTTIGLIA PROTEGGI-CASA

1/2 tazza di sale
3 spicchi d'aglio
7 cucchiai di basilico in polvere
4 cucchiai di semi di aneto
1 cucchiaio di salvia
1 cucchiaio di anice
1 cucchiaio di pepe nero
1 cucchiaio di semi di finocchio

(è preferibile prepararla in una mattina di sole)

BOTTIGLIA PORTA-GUADAGNO

5 monetine da 1 centesimo
5 monetine da 2 centesimi
5 monetine da 5 centesimi
5 chicchi di granturco
5 chicchi di frumento (o 5 cucchiaini di farina)
5 semi di sesamo
5 bastoncini di cannella
5 chiodi di garofano
5 semi di peperoncino
5 noci (schiacciarle per farle entrare nel collo)

(è preferibile poggiarvi accanto il borsellino quando siamo a casa)

BOTTIGLIA D'AMORE

1 bottiglia di acqua di rose
Petali di rosa essiccati
2 manciate di lavanda essiccata

(è preferibile che la bottiglia sia di vetro, quindi meglio travasare quelle in commercio)

Per approfondimenti:
Scott Cunningham e David Harrington - Gli strumenti magici (Armenia)

martedì 2 febbraio 2016

I miei uomini #2: Wulfran

"Il lupo mannaro più sexy che io abbia mai incontrato all’interno di un libro" - dal blog "Salotto dei libri"


Care consorelle e confratelli,
dopo il primo post di questa nuova rubrica, dedicato a Elias, quello che voglio presentarvi oggi è un personaggio secondario della trilogia delle Spose, eppure so che piace a un bel po’ di voi. Perché? Be’… è bello, forte, rassicurante, protettivo, sa ascoltare… però, come per tutti gli uomini di questa serie, non è tutto oro quel che luccica, per cui l’aitante Mannaro riserva contrastanti sorprese nel finale del primo volume, che ovviamente non posso specificare in questa sede, per chi ancora non ha letto “Le spose della notte.” Ma vediamolo un po’…


Si trattava dell’uomo più bello che Dunia avesse mai visto. Il corpo statuario era valorizzato da un abbigliamento da cavallerizzo e i lunghi capelli di un biondo scuro gli scivolavano sulle spalle sorretti da cordoncini di camoscio ai lati delle orecchie. Il volto era quello di un dio, perfetto, ma maschio al contempo, e l’accenno di sorriso che rivolse loro, rendendolo oltretutto vivo, la spinse quasi a ricordare alle compagne le parole di Elias in presenza di Sabisto.
«Lui è Wulfran» esclamò Sabisto, rompendo la magia. «Dovrete baciarlo tutte.»
Ecco.
Ogni tanto dimenticava quale fosse il filo conduttore del credo della Loggia.
Come poteva, quel tipo, essere un Maestro della Loggia? Era dannatamente bello da dover essere per forza anche esageratamente stupido.
«Perché?» riuscì ad articolare.
«Dunia...» Sabisto le scoccò un’occhiata perplessa. «Non mi dirai che non ti va bene neppure Wulfran?»
«Io volevo solo dire che...»
«Conoscete i nostri metodi e questo è quello che occorre per farvi oltrepassare i sigilli» replicò Sabisto, risoluto. «Ho fatto venire Wulfran proprio perché credevo vi sareste lamentate meno.»
Dunia si chiese cosa avrebbero dovuto fare per girare all’interno dell’intero palazzo...

Andando avanti, Dunia si renderà conto che Wulfran è tutt’altro che stupido, anzi, non la racconta giusta su chi è, cosa vuole e soprattutto perché. Tuttavia, come abbiamo visto sopra, Wulfran appartiene al credo della Loggia, come l’amico delle tre protagoniste, Sabisto, e il loro compito dovrebbe essere quello di proteggere le consorelle della Congrega dalle insidie dei maghi della Cabala. Un mago della Cabala a irretire ognuna delle tre protagoniste, un maestro della Loggia a fare da cane da guardia per ciascuna di loro (e, con Wulfran, le quattro zampe si amplificano). Bisogna dunque fidarsi per partito preso?


Non le incuteva timore, non era minaccioso, ma un guizzo di rabbia gli saettò nelle pupille, incitandola a trarsi all’indietro.
«Cosa hai fatto?» le chiese con voce soffocata.
In che senso? «Di cosa stai parlando?»
Wulfran le accostò il coltello alle spalle, facendoglielo scivolare lentamente lungo il braccio, e Dunia, dopo qualche istante di timore, capì.
Capì che Wulfran aveva scoperto il suo segreto e che l’arma stava captando la mancanza di barriera.
Lasciò, senza il coraggio di fiatare, ormai rassegnata, che Wulfran continuasse a farle scorrere la lama sulle cosce, sul ventre, sul seno, fino a raggiungerle il collo, sfiorandole la pelle con la punta acuminata. «Sei un’irresponsabile!» sbottò. «Avevo capito che ti piaceva sul serio, ma non che tu potessi arrivare fino a questo punto.»
Scaraventò il coltello sul sedile posteriore e si arruffò i capelli appoggiando i gomiti sul volante.
«Non è come pensi» tentò Dunia.
Lui si voltò e la osservò quasi con compassione. «Risparmiami questi dialoghi scadenti da soap opera, per cortesia.»
Dunia si voltò di nuovo verso il finestrino, gonfiò le guance e soffiò fuori tutta la sua ansia. «Titania e Diamara hanno ancora la protezione. Solo io non ce l’ho più.»
«Com’è possibile?» chiese lui, allargando le braccia in un gesto disperato.
«È possibile» rispose lei. «Me ne sono accertata con i miei occhi. È caduta solo a me.»
«Ma se tu sei stata a letto con lui...»
«Non sono stata a letto con lui!» replicò con rabbia. «Ti ho detto che non è come pensi!»
Lui tamburellò per un paio di volte con la fronte sul volante e rimase alcuni istanti in silenzio. Poi, più calmo, tornò a guardarla: «E allora com’è successo?»

Wulfran torna anche in “Luna di notte”, e in “La fine della notte” giocherà un ruolo determinante, seppur inizialmente allontanato per trame di potere dell’Alto Consiglio. Perché, e per conto di chi, potrete immaginarlo dopo aver letto “Luna di notte.”
Lo aspettiamo al varco, e che la Dea lo benedica